PALERMO – Viviamo i giorni dell’ira. C’è un’incontenibile voglia di rivalsa. Chiunque goda di un incarico che lo sollevi appena al di sopra la media viene automaticamente iscritto a una delle tante caste che nell’immaginario compongono la casta assoluta. Non si salva nessuno. Nel mirino sono finiti i lavoratori della Gesip di Palermo, i giornalisti dell’ufficio stampa della Regione, per citare qualche riflesso della cronaca. L’ultima vicenda è esemplificativa. Nei dintorni di Palazzo d’Orleans è stata eretta una monumentale e metaforica ghigliottina. Sono cadute, una dopo l’altra, ventuno teste, mentre la folla alzava al cielo grida di giubilo. Nell’era del terrore la gente in piazza, nella Francia giacobina o nella Sicilia di Crocetta, non distingue fisionomie, biografie e curriculum. Vuole il sangue. Lo annusa, lo cerca e infine l’ottiene.
Il bisogno di rivolta (no, maestà, è una rivoluzione, per l’appunto) nasce da ragioni concrete, profonde e non smentibili. La Sicilia delle caste e dei protezionismi ha inceppato la macchina della produzione, ha macchiato lo specchio della trasparenza, ci ha resi molto impreparati e poco attrezzati al cospetto della Grande Crisi. Se il gelo lo affronti con coperte e scaldini, lo sopporterai meglio. Noi ci siamo presentati in costume, mentre il vento sferza e mette in discussione la normale comodità delle nostre vite. Il pubblico – e non solo – è stato il terreno di una ruberia continuata. Conosci qualcuno? Allora le porte sono aperte, a seconda del livello di intimità col potere, o del punteggio di utilità che i potenti rilasciano previa opportuna valutazione.
Prendiamo gli esempi di scuola: le difficoltà della Gesip non hanno suggerito solidarietà, perché la creatura mostruosa – in senso di dispendio e costo – aggiogata al Comune ha messo in piazza un colossale fallimento. Avrebbero dovuto occuparsi di Palermo, gli operai con la pettorina arancione. E ci hanno consegnato una città sporca, invivibile, dimostrando, loro per primi, scarso interesse per la collettività. E perché mai l’opinione generale avrebbe dovuto mobilitarsi? La Gesip, nel suo complesso, ha prodotto un abisso nei conti non rappresentando un servizio. I prescelti si sono sentiti difesi dalla garanzia di un ammortizzatore, senza preoccuparsi di rendere in cambio una qualità del lavoro che li rendesse indispensabili.
C’è poi il caso dell’ufficio stampa della Regione dato in pasto alla piazza dal presidente Crocetta. Nessuno – meno che mai chi scrive – mette in discussione la durezza del momento che i colleghi giornalisti di Palazzo d’Orleans stanno attraversando. E’ però vero che un numero così spropositato di risorse non ha che una sola parola: spreco. Troppi capiredattori. Troppe garanzie. Troppo clientelismo. Ed è purtroppo normale, adesso, che i professionisti dell’Ufficio stampa siano bersaglio dell’invidia gioiosa di omologhi precari meno fortunati e dell’ira di una moltitudine che li considera esclusivamente nullafacenti, parassitari e fin qui privilegiati. La parte nobile del fiume di rabbia sta nella consapevolezza dei siciliani che hanno smesso di credere a un sistema di segnalazioni e rapporti come motore dello sviluppo nell’ora in cui il palazzo sta crollando.
Ma c’è un cancro sommerso in ogni presa della Bastiglia che conduce fatalmente al patibolo. L’idea che si debbano tagliare teste alla rinfusa senza distinguere le identità. La crudeltà di chi inneggia con i forconi mentre le suddette teste rotolano. La ferocia di una stirpe affamata che crede di placare i morsi dello stomaco, ubricandosi di omicidi altrui. Attenti, giacobini: l’odio sociale è lo stratagemma del potere che intende conservarsi e perpetuare il proprio dominio. La lama che cala indistinta non schiude magnifici orizzonti. Precipita un popolo nel buio della cecità e della paura, vellicando il dolore di coloro che si sentono esclusi e perciò ammazzano gli altri più in alto per meschina rivincita.
In una terra percossa dalla violenza verbale e intellettuale, domani, nessuno sarà più al sicuro, perché tutti potranno cadere preda delle mascelle di una follia incontenibile. E dei diritti rimarrà un pallido ricordo. Trasformiamo i giorni dell’ira nei giorni del cambiamento, con lucidità, coraggio e pietà. E’ il compito di questa generazione imbarcata su uno scricchiolante vascello. Solo così salveremo il nostro cuore dal gelo e la nostra testa dalla ghigliottina.