'I turchi devono stare al loro posto'| I nigeriani "sottomessi" alla mafia - Live Sicilia

‘I turchi devono stare al loro posto’| I nigeriani “sottomessi” alla mafia

Un frame dei pedinamenti

Secondo il procuratore aggiunto Salvatore De Luca, a gestire lo spaccio è sempre Cosa Nostra.

PALERMO – I “turchi”, così chiamati per il colore della pelle benché nigeriani, dovevano starsene tranquilli. E se qualcuno alzava la testa la mafia era pronta a intervenire. Così accadeva fino a qualche anno fa, quando Black Axe, l’Ascia Nera, era l’organizzazione più forte tra i vicoli di Ballarò. Poi sono arrivate le indagini della Procura di Palermo, il processo e le condanne.

Il blitz della squadra mobile dei giorni scorsi racconta che il potere è passato in mano al gruppo Eiye. Le “confraternite” cambiano, ma la violenza è la stessa. E la convivenza con i mafiosi? Dei “turchi” parlavano i fratelli Giovanni e Giuseppe Di Giacomo intercettati dai carabinieri del Nucleo investigativo. Giuseppe, prima di morire assassinato alla Zisa, era diventato un pezzo grosso nel mandamento di Porta Nuova che include anche la famiglia di Ballarò.

“Fatelo con il buio”, consigliava il fratello e killer ergastolano Giovanni, facendo forse riferimento alla punizione da infliggere a un nigeriano che faceva “sciarriare (litigare, ndr) i ragazzi… tutte le macchine bruciate… non se ne voleva andare”. “Devono stare al loro posto… sono furbi, stai attento”, diceva l’ergastolano. E il fratello lo rassicurava: “A noi altri ce lo portano – facendo riferimento alle scorte di marijuana e hashish accumulate dagli africani capaci di monopolizzare il mercato -, vengono sotto casa e aspettano che io esco”.

Giuseppe Di Giacomo comandava, dunque, pure sui nigeriani. Cosa è cambiato con l’avvento degli adepti del cult Eiye? “Non c’è contatto. Cosa Nostra non interloquisce con i cult”, spiega il procuratore aggiunto di Palermo Salvatore De Luca, braccio destro del procuratore Francesco Lo Voi e coordinatore delle indagini sulle mafie, palermitana o nigeriana che sia: “Tutti i cittadini nigeriani che si occupano di droga, compresi quelli che fanno parte dei cult, come gli altri che operano nelle piazze dello spaccio gestiste da Cosa Nostra devono ricevere l’autorizzazione”. Insomma, non sfuggono alle regole della mafia, ma – aggiunge De Luca – “sono i singoli nigeriani che chiedono l’autorizzazione e non direttamente a Cosa Nostra ma al referente di Cosa Nostra che gestisce la piazza”.

I nigeriani si muovono con estrema prudenza “per non entrare in contrasto con Cosa Nostra e con gli altri cittadini italiani. La giurisdizione del cult, definiamola così – prosegue De Luca – riguarda esclusivamente l’ambito della comunità nigeriana”. Se ci siano stati motivi di frizione tra il gruppo Eiye e i mafiosi non è dato sapere. Di sicuro, come dimostra l’ultimo blitz, la presenza delle organizzazioni africane non viene sottovalutata. Anche perché, conclude De Luca, “sarebbe miope da parte nostra pensare solo a Cosa Nostra. Non possiamo tollerare minacce e violenze contro i cittadini nigeriani. Ci sono gruppi pericolosi che mantengono un basso profilo perché c’è il predominio di Cosa Nostra. Se scompaginiamo Cosa Nostra si può immaginare che altre forme di criminalità potrebbero prendere campo”.

Massimo attenzione, dunque, sul fronte della repressione. Repressione che compete a magistratura e forze dell’ordine, ma che da sola non può bastare. Altrimenti si corre il rischio, come è già avvenuto, di accorgersi e di stupirsi dell’esistenza di enclavi nei quartieri popolari della città solo in occasione dei blitz.


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