Il boss Spera rifiuta le cure, ma resta in carcere: ecco perché - Live Sicilia

Il boss Spera rifiuta le cure, ma resta in carcere: ecco perché

La Cassazione respinge il ricorso del capomafia stragista

PALERMO – Il boss di Belmonte Mezzagno Benedetto Spera chiedeva il differimento per motivi di salute dell’ergastolo che sta scontando al 41 bis. Ha anche rifiutato “ulteriori accertamenti e trattamenti” sanitari.

La Cassazione ha respinto il ricorso della difesa. Il procuratore generale Mariaemanuela Guerra aveva chiesto il rigetto. La salute del quasi novantenne boss può essere curata in carcere.

E il rifiuto di un nuovo intervento chirurgico? Innanzitutto, sottolineano i giudici, si tratta di un’operazione che può essere eseguita in regime di detenzione, ricorrendo a strutture esterne. E poi è una scelta del boss. L’intervento chirurgico può essere imposto solo qualora il detenuto abbia un difetto cognitivo.

Spera invece, così ha scritto il tribunale di Sorveglianza di Milano sulla base di alcune perizie, ha “rappresentato ai medici che non intendeva sottoporsi ai proposti interventi salvavita ritenendo che non avrebbero cambiato la qualità della sua vita carceraria. Il Tribunale sottolinea che dalle relazioni in atti non emerge un deficit cognitivo tale da inficiare la capacità di autodeterminazione del detenuto, ma un decadimento legato all’età che non necessitava di terapia psicofarmacologica’.

“La Procura nominò un amministratore di sostegno”

Era stata la Procura di Milano a nominare un amministratore di sostegno temporaneo per Spera quando si rese necessario il primo intervento chirurgico salvavita per problemi cardiaci, rimettendo al Tribunale di sorveglianza la decisione sul suo stato di salute. Dunque, secondo i pm, non era in grado di decidere da solo.

Alla fine fu stabilito che il capomafia è capace di intendere e volere. Di diverso avviso la difesa, secondo cui dalla stessa documentazione clinica carceraria è evidente se si tratta di un soggetto che non ha più la piena capacità di autodeterminazione.

Niente differimento della pena dunque, e cioè la sospensione, anche temporanea, della condanna all’ergastolo per il boss.

Spera, fedelissimo di Bernardo Provenzano, responsabile delle stragi di mafia del ’92, fu arrestato nel 2001 nelle campagne di Mezzojuso dopo nove anni di latitanza. Si trova rinchiuso nel carcere di Opera in provincia di Milano. È uno dei 238 siciliani al 41 bis.

La sentenza di inammissibilità del ricorso è della prima sezione della Cassazione, presieduta da Stefano Mogini, ed è stata emessa il 23 febbraio. Il rifiuto delle ulteriori cure, scrivono i supremi giudici non è “attribuibile ad ulteriore patologia mentale specifica di Spera, tale da non potersi considerare una scelta consapevole”.

“Non in grado di decidere da solo”

Non è stata accolta la ricostruzione della difesa, rappresentata dall’avvocato Maurizio Di Marco, secondo cui le sue condizioni di salute “sono di notevole gravità” e il “grave stato di decadimento che affligge il condannato, non gli consente di comprendere la necessità di sottoporsi ai trattamenti salvavita”.

La Suprema Corte ribadisce come “i trattamenti sanitari nei confronti del detenuto sono incoercibili ma, se potenzialmente risolutivi di condizioni di salute deteriori, in forza delle quali il detenuto medesimo chiede il differimento della pena o una misura alternativa alla detenzione, la loro accettazione si pone come condizione giuridica necessaria alla positiva valutazione della relativa richiesta”.

“Patologia da non strumentalizzare”

Una logica che “risponde ad una evidente esigenza di non strumentalizzare le patologie di cui si sia portatori, in vista del risultato di ottenere il differimento della pena: invero, la condizione di sofferenza autoprodotta dal condannato, realizzata cioè mediante comportamenti come la mancanza di collaborazione per lo svolgimento di terapie e di accertamenti o il rifiuto dei medicamenti e del cibo, non può essere presa in considerazione ai fini del bilanciamento tra esigenze di salvaguardia dei diritti fondamentali ed obblighi di effettività della risposta punitiva, non potendosi pretendere tutela di un diritto abusato ed esercitato in funzione di un risultato estraneo alla sua causa”.


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