Il cappellano-pusher si difende: "Sono stato costretto" - Live Sicilia

Il cappellano-pusher: “Così mi hanno costretto a dare la droga”

L'interrogatorio di padre Rosario Buccheri, arrestato nel carcere di Enna

Una “spiccata indole delinquenziale”, che lo avrebbe portato a trasformare la casa circondariale di Enna in “autentica piazza di spaccio”. Lo scrive il gip Giuseppe Noto, citando il pubblico ministero Domenico Cattano, nell’ordinanza di convalida dell’arresto di padre Rosario Buccheri, avvenuto mercoledì scorso, dopo che la polizia penitenziaria ha scoperto 75 grammi di fumo in possesso di un detenuto che aveva appena finito il colloquio con lui; e dopo che lo stesso Buccheri, sostanzialmente, ne aveva ammesso la cessione.

Ieri è stato il giorno dell’interrogatorio, in cui il cappellano, che è detenuto nel carcere di Agrigento, ha risposto alle domande del Gip e provato a fornire dei chiarimenti, dicendo di esser stato minacciato e costretto a portare la droga all’interno del carcere. Padre Buccheri è difeso dall’avvocato Nino Grippaldi. La sua tesi, tuttavia, per il gip sarebbe inverosimile.

Ecco la versione del cappellano: “Io minacciato e costretto a portare la droga in carcere”

Queste le parole del sacerdote: “Il 26 settembre 2022 mi trovavo in vacanza a Palermo ma non ricordo in che zona di Palermo, due uomini in moto con i caschi integrali si sono avvicinati alla mia autovettura e mi hanno bussato nel finestrino dicendomi (l’uomo che stava dietro) devi aiutare un nostro amico in carcere, quando gli ho risposto mentre parlavo, si sono allontanati senza darmi retta. Giorno 29 settembre, sempre a Palermo, si sono ripresentati altri due uomini in moto sempre con i caschi integrali indossati, senza dirmi niente mi hanno mostrato due fogli di formato A4 con due foto una di mia sorella (…) e l’altra di mio nipote (…) e subito dopo sono andati via. Nei primi giorni di ottobre, non ricordo il giorno, all’interno della mia autovettura parcheggiata a Enna non ricordo dove ho visto un involucro di carta, lato passeggero, controllavo il contenuto e mi ritrovavo un candelotto di colore marrone con una miccia collegata di lunghezza di 25 cm circa. Immediatamente me ne sono disfatto buttandolo in un cestino pubblico comunale, ho avuto tanta paura e non ho pensato ad altro che disfarmene senza avvisare nessuno. Ancora, qualche giorno dopo si sono ripresentati due uomini con una moto e i caschi integrali indossati, facendomi cenno di abbassare il finestrino (lato guida) dicendomi devi consegnare una cosa al detenuto (…), gli ho risposto di cosa si trattasse e se ne sono andati via senza aver capito cosa mi hanno risposto”.

Fino al giorno dell’arresto: “Questa mattina, intorno alle 09.30 mi accorgevo che il porta oggetti sotto il sedile lato passeggero era aperto così ho visto che c’era un pacchettino aperto con del materiale avvolto dal nastro isolante nero, a prima vista sembravano sigarette ma non riuscivo a capire di cosa si trattasse, ma ho pensato che potesse trattarsi di fumo, dopo di che prelevavo il pacchettino e lo introducevo in Istituto e durante il colloquio all’interno del mio Ufficio con il detenuto (…), glielo consegnavo senza avvisare nessuno per paura di ritorsioni e per proteggere i miei familiari”.

A casa sua sono state trovate una pistola calibro 38, un fucile a canne mozze, due sciabole e varie somme di denaro, diverse migliaia di euro. Nell’interrogatorio, Buccheri ha detto di aver “ricevuto le armi in regalo da un suo amico”. Le sciabole, invece, le avrebbe comprate lui “quando era un carabiniere”. Peccato però che al momento in cui gli hanno chiesto di indicare il suo alloggio, avrebbe indicato quello di un altro religioso, sperando che nessuno trovasse la sua vera stanza. Quanto al denaro, infine, avrebbe riferito che quei soldi, in parte, erano riconducibili a elargizioni dei fedeli erogate a lui personalmente; e in parte alla divisione di somme derivanti dalla regolamentazione di rapporti economici con i suoi familiari. Tesi che non sembrano aver convinto il giudice.

Il gip: resti in carcere, le esigenze cautelari ci sono

La cronaca dell’arresto inizia alle 9,30 di mercoledì, quando un detenuto chiede a un assistente capo della Polizia Penitenziaria informazioni sull’esatta ubicazione dell’ufficio del cappellano della casa circondariale di Enna. Questo insospettisce l’assistente, che decide di accompagnarlo. Dopo il colloquio, alle 9,45 circa, il detenuto lascia la cella e viene sottoposto a perquisizione, che dà esito positivo. Il detenuto aveva cercato di nascondere la droga nella biancheria intima. A quel punto la prima parziale confessione del sacerdote, che dichiara di esser stato costretto a portare la droga al detenuto, perché sotto minaccia.

Ma il gip, come detto, nell’ordinanza di convalida dell’arresto parla di un “concreto ed attuale pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie di quelli per cui si procede”, sia per le modalità della condotta che per la stessa personalità del cappellano, “peraltro già gravato da un precedente per delitti contro il patrimonio”.

L’indole delinquenziale del sacerdote, il gip, la desume dal “rilevante quantitativo di stupefacente”, ancor più se si considerano “le circostanze di tempo e di luogo in cui è avvenuta la cessione, ossia durante un colloquio intrattenuto, in pieno giorno, col detenuto Rasano Mattia all’interno della Casa Circondariale di Enna, trasformata in autentica “piazza di spaccio”, come correttamente osservato dal pubblico ministero, ad onta della sua naturale vocazione di luogo primariamente deputato al recupero ed al reinserimento sociale dei condannati”.

Il cappellano, “in totale spregio del ruolo istituzionale ricoperto all’interno dell’Istituto penitenziario”, avrebbe “piegato la propria posizione allo scopo illecito di favorire la circolazione di sostanze stupefacenti tra i detenuti, soggetti sensibilmente permeabili al relativo consumo, e fare propri i profitti illeciti derivanti da tale mercimonio, dando prova di una personalità del tutto priva di scrupoli ed aliena dal rispetto delle regole basilari imposte dall’ordinamento”.

Scrive ancora il gip: “Tali considerazioni appaiono ancor più avvalorate dal rinvenimento, nella disponibilità dell’indagato, di una congerie di armi clandestine od illegalmente detenute e di munizioni, le quali non solo non trovano giustificazione alcuna nell’attività da lui svolta e nel ruolo da lui ricoperto, ma confermano, ove mai ce ne fosse bisogno, la sua invincibile propensione al delitto. A ciò si aggiunga che il notevole quantitativo denaro contante rinvenuto nella disponibilità di Buccheri Filippo costituisce ulteriore indice sintomatico del fatto che egli trae una cospicua fonte di guadagno proprio dalle attività illecite di cui si è detto: quella emersa a seguito delle operazioni di perquisizione, invero, è una somma così ingente peraltro, in contanti, che non trova giustificazione alcuna nè nell’attività di cappellano da lui svolta né, a fortiori, nel ruolo di frate cappuccino da lui rivestito, peraltro vincolato, in quanto tale, al rispetto del voto di povertà.

Ad analoghe conclusioni, in punto di personalità dell’indagato, deve pervenirsi alla luce del rinvenimento, all’interno dell’autovettura di sua proprietà, di un significativo armamentario (un passamontagna di colore nero, un “piede di porco”, una cesoia ed un frangivetro) di regola utilizzato per la commissione di delitti contro il patrimonio. Infine, si condivide quanto osservato dal pubblico ministero in ordine al fatto che le tipologie di reati in contestazione e la peculiare circostanza che l’indagato svolgesse l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti all’interno del carcere lasciano emergere profili inquietanti sul suo possibile inserimento in un contesto di criminalità, anche di tipo organizzato di elevato spessore delinquenziale”.


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