Il Festino di Rosalia e delle donne | Applausi e fischi per Orlando - Live Sicilia

Il Festino di Rosalia e delle donne | Applausi e fischi per Orlando

(DI ROBERTO PUGLISI) Le donne, Santa Rosalia, la cronaca di una serata indimenticabile. Il primo cittadino riceve applausi e fischi ai Quattro canti al momento della tradizionale frase: "Viva Palermo e Santa Rosalia". Gran finale coi 'botti' al Foro Italico e la musica di Cajkovskij.

PALERMO– Torni dal Festino e hai voglia di distruggere Palermo. Proprio mentre la ami. Hai voglia di distruggerla, talmente è sudicia, volgare, prepotente. Hai bisogno di amarla, nella sua cattiveria che è bellezza, nella sua arroganza che è fragilità, nella sua puzza che è innocenza. E li guardi, i palermitani, ombre smarrite come te. Li guardi, mentre guardano i fuochi e sembrano tutti bambini, portati per la prima volta a una festa. Guardi quella bambina vera che si succhia il dito, provi a darle un nome. Lei è Rosalia, anche se ha i capelli neri. Rosalia che rinasce a ogni colpo di peste. Rosalia che è qui, che usa il monte come finta barriera. Lei è la a Santuzza che non può cambiarci, forse perché è troppo palermitana.

Certo, gli applausi e i fischi a Leoluca Orlando, sindaco, anzi viceré, di una città che non sa dove comincia e ha dimenticato dove finisce. E ognuno potrà sbizzarrirsi, acconciando il suo orecchio alla bisogna, attrezzando la sua acustica secondo convenienza della politica, del portafoglio, o funzionale battito cardiaco. Di più gli applausi o di più i fischi? Vuoi più bene alla mamma o al papà? Dipende dall’angolazione, dal punto, dall’eco. Applausi e fischi. E rompetevi la testa su infinitesimali vibrazioni tra consenso e dissenso.

E’ stato un gran bel Festino, ecco la nota di cronaca che vale la pena di ricordare, perché il sindaco pro tempore è uno stregone col dono del carisma. Non sbaglia mai la coreografia. Tutto è stato stappato con lo spettacolo in Cattedrale. Lì, le teste dei palermitani hanno iniziato un personale viaggio contro la luna e verso il cielo. Lì, noi – pecore che siamo, abituate a brucare l’erba fradicia della rassegnazione – abbiamo alzato il capo, per mirare i volteggi degli acrobati nella facciata della chiesa trasformata in palcoscenico verticale. E quando qualcuno ha proiettato accanto al mega cartellone pubblicitario che campeggia sulle sacre mura (l’anima – si sa – è l’anima del commercio) il viso di alabastro di Rosalia, si è levata la risacca di un “oooooh” proprio da bambini, intanto che il bene e il male si davano reciproche mazzate per puro gusto scenografico.

Dal basso si vedevano i famosi balconi di Palermo, con i patrizi del frangente separati dal popolino. I famosissimi balconi che rivelano, lasciando socchiuso uno spiraglio, case nobiliari, reggie con soffitti affrescati da preziosi motivi floreali. Tutta quella magnificenza addobbata sopra fantasmi che vagano distratti. Tutto quello splendore in alto e la calca in basso. Tutta quella storia familiare, privata, rinchiusa, segregata. C’è forse una metafora più esatta del nostro stato di munifico orrore? E poi le donne, l’avanguardia del carro trionfale, selezionata tra Carneadi e celebrità. Sessanta. Meglio sarebbero state sessantuno. Con Alessandra Siragusa. Spiega Maria Grazia Patronaggio che con l’associazione ‘Le Onde’ protegge altre donne dalla furia ginofobica: “Abbiamo voluto trasmettere un messaggio chiaro, rappresentando il valore femminile nella sua essenza. Le donne, a Palermo, creano valore”.

Idea trasparente e lieve nella notte della Santuzza che fu una fanciulla. Idea da non banalizzare con stereotipi o gelatine di senso da sciogliersi subito in bocca. Le donne che i maschi uccidono o adulano, esprimendo una schizofrenia concentrica. Rosalia era una donna. Andò via da se stessa, solo per ricominciare. Era bellissima, Rosalia. Possedeva la caratteristica primaria della bellezza assoluta: la freschezza dell’istante, la capienza dell’eternità. E sui balconi ci sono ragazze bengalesi nei costumi tradizionali, anche loro talmente belle che la Santuzza potrebbe averne preso le sembianze. Pure loro con la controluce dei balconi di Palermo che sembrano risvegliarsi, sotto lampadari di un’altra epoca, da un millenario torpore.

Povera e splendida Palermo che suca i babbaluci e si esercita a guardare le stelle sparate in cielo con i razzi, che si immortala con i ‘selfie’ e lascia un universo di cartacce per terra, in una indescrivibile brodaglia. Disgraziata Palermo che gode della calca e chissà come non ci scappa il morto. Sicché i rivenditori di bottigliette d’acqua a due euro decidono di piazzarsi nel mezzo di corso Vittorio Emanuele, al transito del carro. Svolgimento: si crea un tappo con la folla che annaspa. Nessuno dei presenti in divisa muove un dito. E il Panormitano, che ha imparato la lezione e sa che deve arrangiarsi da sé, sgomita, sbraita, bestemmia. Tiene in bilico bambini di pochi giorni, simili a finissime porcellane. Infine, approda in un luogo in cui si riesce a respirare. E’ un miracolo. Viva Palermo, etc, etc…

Inestimabile Palermo, con una testa univoca – e sono trecentomila – a immergersi nei fuochi d’artificio del maestro Valerio Festi, accompagnati dall’overture 1812 che è il commento musicale di una mancata invasione. Ma qui la conquista è già compiuta da un pezzo, con annessa razzia. Non resta che sperare. Non rimane che accompagnarsi all’ignara gioia di ogni 14 luglio e cogliere segni benevoli nel cielo. Non resta che volere bene a questa bambina che dondola di sonno sulla spalla del padre, con un dito in bocca. Forse lei è davvero la Santuzza che è rinata, che rinasce a ogni colpo di peste, e non per salvarci. Solo per dirci che siamo effimeri ed eterni. Effimeri come i fuochi. Eterni come gli occhi che non smettono di cercare la luce, nella notte più cieca che c’è.


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