Il giallo dei file 'dimenticati' sugli affari segreti di Provenzano

Il giallo dei file ‘dimenticati’ sugli affari segreti di Provenzano

Una pista mai battuta. Un fascicolo che avrebbe potuto e potrebbe ancora condurre al tesoro nascosto del padrino corleonese

PALERMO – Una pista mai battuta. Un fascicolo dimenticato anni fa che avrebbe potuto e potrebbe ancora condurre al tesoro nascosto di Bernardo Provenzano.

Dal passato viene fuori un’incredibile storia legata al nome di Giovanni Napoli, oggi settantenne, fedelissimo del padrino corleonese.

Napoli assieme al boss Cola La Barbera, entrambi di Mezzojuso, hanno curato una parte della latitanza di Provenzano. Napoli viene arrestato il 6 novembre 1998. I carabinieri del Ros perquisiscono la sua abitazione e trovano sette floppy disk, marca Polaroid.

Non riescono ad aprirli e l’allora pubblico ministero di Palermo, Maria Teresa Principato, l’1 lugio 1999, si affida a uno dei più qualificati e conosciuti esperti informatici, il poliziotto Gioacchino Genchi.

Genchi riesce ad estrapolare alcuni dati interessanti e il successivo 20 luglio scrive al pm. I floppy sono stati lavorati con “un software di non comune diffusione commerciale”. Grazie a un sistema operativo di ultimissima generazione sono stati archiviati nomi, indirizzi di immobili, operazioni finanziarie per cifre importanti riconducibili a una decina di persone.

Napoli, dunque, così sembra, custodisce a Mezzojuso la contabilità di un reticolo di società. Genchi svolge la prima ricognizione a titolo gratuito, ma spiega che è necessario analizzare il computer con cui sono stati sviluppati i file salvati nei floppy disk (allora non si usavano le pen drive).

E così all’indomani dell’arresto, il 21 luglio, i carabinieri tornano a Mezzojuso e trovano il computer. O meglio, lo recuperano in un centro assistenza. Genchi scopre che alcuni file sono stati formattati o cancellati, ma riesce lo stesso a recuperare tanto materiale da riempire una sfilza di faldoni. Ci sono ampie tracce di assetti societari e investimenti immobiliari. Molti riguardano residence di nuova costruzione nella zona di San Vito Lo Capo. I file analizzati sono stati creati fra il 1993 e il 1994.

Poi seguono anni di incredibile silenzio. Nessuno convoca Genchi come avviene di norma. I periti sono chiamati dai pubblici ministeri per illustrare il lavoro svolto, specie quando si tratta di complicate consulenze informatiche. Non è avvenuto, né in fase di indagini preliminari, né durante il processo che si concluse con la condanna di Napoli.

La dinamica rende molto plausibile che la consulenza non sia stata sviluppata. Nessuno ha aperto i file anche perché l’alert inserito dal perito per evitare possibili manomissioni non si è attivato. Se un investigatore o un pm, naturalmente autorizzati, avesse aperto i file il database di Genchi avrebbe segnalato l’accesso. Lo prevede la procedura di sicurezza.

Non serve ipotizzare strani complotti. I floppy disk e il pc sequestrati a Napoli, infatti, sono ancora oggi, anno 2021, nell’ufficio di Genchi assieme ai faldoni della consulenza. Genchi, che nel frattempo ha smesso di fare il poliziotto ed è diventato avvocato, fra il 2000 e il 2015 ha più volte sollecitato la Procura a ritirare il materiale e a liquidare la parcella per la consulenza. Una consulenza costatata parecchi milioni di lire (allora non c’era ancora l’euro), alla fine pagati per un lavoro mai sviluppato dagli investigatori.

Per la cronaca, il materiale in questione faceva parte di quello per il quale Genchi è finito sotto accusa. Ci furono grandi polemiche quando nel 2009 emerse che il consulente informatico aveva ancora a disposizione una banca dati enorme, soprattutto tabulati e incroci telefonici (c’è un processo ancora pendente). Nel caso dei floppy, però, Genchi ha diffidato per iscritto la Procura a ritirare i reperti.

La storia dei floppy è tornata di attualità in questi giorni nel corso del processo di appello sulla trattativa Stato-mafia. A complicare le cose un giallo nel giallo. Durante il processo di primo grado il pubblico ministero Antonino Di Matteo interroga il pentito Ciro Vara, il quale racconta di avere ricevuto delle confidenze da Giovanni Napoli: “… in certi dischetti avevano registrato delle cose interessanti che conservava il Napoli, tanto è che quando hanno fatto la perquisizione a casa del Napoli, poi il comandante della stazione dei carabinieri di Mezzojuso poi dopo qualche giorno ha consegnato questi dischetti e effettivamente mi diceva il Napoli c’era qualche, qualche cosa interessante da estrapolare… qualche cosa che poteva essere utile agli inquirenti… mi ha detto soltanto queste testuali parole, che c’erano questi dischetti, sono stati sequestrati e che c’erano delle cose interessanti che riguardavano Provenzano, e che sono stati restituiti dopo pochi giorni. Solo questo”.

Non è un elemento di poco conto per l’accusa che inquadra la anomala restituzione dei floppy disk nell’elenco dei favori che gli infedeli ufficiali del Ros fecero a Bernardo Provenzano. E sono stati proprio i Ros ad arrestare Napoli nel 1998 e a perquisire la sua abitazione. Qualcosa nella ricostruzione non torna, però.

I sostituti procuratori generali Giuseppe Fici e Sergio Barbiera hanno delegato degli accertamenti alla Direzione investigativa antimafia. Ritengono sospetto innanzitutto il fatto che la perquisizione in casa di Napoli e la prima, non riuscita, analisi dei floppy sia stata affidata a due carabinieri, uno da poco arrivato al Ros e un altro appena ventenne senza alcuna esperienza.

Ad essere restituiti alla moglie di Napoli, dopo pochi giorni dall’arresto dal marito, in realtà non sono stati i floppy disk, ma due telefonini e un rilevatore di microspie satellitari. Circostanza strana che i sostituti procuratori generali vogliono accertare chiedendo la convocazione dei due ufficiali (Tersigni e Pellegrini) che coordinavano le indagini.

Secondo l’accusa, Ciro Vara potrebbe avere fatto confusione quando ha parlato delle confidenze ricevute da Napoli. Il fedelissimo del padrino corleonese parlò di floppy disk, ma in realtà si trattava dei telefonini. In ogni caso il racconto di Vara sarebbe riscontrato.

E i floppy disk “dimenticati” nell’ufficio di Genchi dove ancora si trovano? Sulla consulenza commissionata nel 1999 dalla Procura di Palermo, pagata e mai utilizzata? Sulla pista investigativa che avrebbe potuto portare alla scoperta di un impero economico? Anche su questi argomenti, e non solo sui telefonini, servirebbero delle risposte visto che qualche anno dopo un’altra consulenza, sempre firmata da Genchi, portò gli investigatori a scoprire i segreti finanziari che Provenzano aveva affidato a Pino Lipari.


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