Il libro mastro del pizzo di Monte Po |Antonino Santapaola alla sbarra - Live Sicilia

Il libro mastro del pizzo di Monte Po |Antonino Santapaola alla sbarra

Oltre al coinvolgimento nell'indagine sull'estorsione al Bingo, il fratello di Nitto sta affrontando anche due processi per mafia. L'avvocato Lipera replica: "Le condizioni psichiatriche del Santapaola ne impediscono la capacità di partecipare coscientemente ai processi a suo carico”.

CATANIA – Antonino Santapaola torna nel ciclone di un’inchiesta giudiziaria per mafia. Il fratello del capomafia Nitto è considerato il numero 2, anche per diritto di sangue, di “cosa nostra catanese”. Lo ‘zio Ninu’ sta affrontando in questi mesi due processi che si celebrano al Palazzo di Giustizia di Catania.

E’ stato rinviato al 7 gennaio il procedimento davanti alla secondo sezione penale: il Tribunale non ha ancora sciolto la riserva sulla richiesta della pm Agata Santonocito di revocare la sospensione del processo disposta per le condizioni di salute dell’imputato. Il collegio di consulenti nominati d’ufficio – durante l’ultima udienza di giugno – hanno infatti sostenuto che Antonino Santapaola possiede le capacità “di partecipare coscientemente in giudizio”. Una valutazione non condivisa dal difensore, l’avvocato Giuseppe Lipera che ritiene la perizia “in contrasto con quella di altri periti che hanno invece concluso per la incapacità dell’imputato essendo acclarato che è affetto schizofrenia cronica”. Non a caso Antonino Santapaola è conosciuto negli ambienti criminali mafiosi come Ninu U Pazzu.

E’ invece in dirittura d’arrivo il processo che vede Antonino Santapaola accusato di essere la mente criminale di una serie di estorsioni a danni di imprenditori e commercianti della zona di Misterbianco e Monte Po agli inizi degli anni 2000. A marzo il pm Jole Boscarino dovrà procedere alla requisitoria e presentare al Tribunale la richiesta di pena a carico del fratello di Nitto. La fase istruttoria si è conclusa con l’audizione nell’ultima udienza del collaboratore di giustizia Giuseppe Mirabile, nipote dell’imputato, che ha parlato come lo “zio Nino” fosse punto di riferimento criminale per gli affiliati al clan Santapaola Ercolano, non solo come fratello di Nitto ma anche per il suo ruolo di vertice. Il boss – secondo quanto asserisce il pentito – negli anni contestati (dal 1999 al 2000) aveva il ruolo di monitorare gli incassi relativi alle estorsioni della zona di Monte Po e Misterbianco. In particolare aveva anche il compito di “monitorare” le uscite della cassa del clan al fine di controllare che venissero pagati gli stipendi ai sodali, ma soprattutto allo scopo di evitare che i soldi finissero nelle mani sbagliate. Insomma, un ruolo di reggente.

Giuseppe Lipera, difensore di Antonino Santapaola, sostiene anche per questo procedimento l’incapacità del suo assistito a stare in giudizio a causa delle sue condizioni di salute. “Le condizioni psichiatriche del Santapaola – afferma il legale – ne impediscono la capacità di partecipare coscientemente al processo a suo carico”. Un impedimento che il difensore ribadirà nella sua discussione.

Il processo scaturisce dalle due maxi inchieste Fiducia 1 e 2 che permisero di scoprire come Monte Po e Misterbianco erano diventate due roccaforti del racket delle estorsioni per la famiglia Santapaola Ercolano. Lo zoccolo duro delle indagini è stato il “libro mastro” delle estorsioni che – secondo gli inquirenti – era “nella disponibilità “ di Santapaola. Il sequestro – si legge nei faldoni dell’inchiesta – è del 4 aprile del 2000. Il documento confermava “la struttura piramidale dell’associazione” e soprattutto “l’importanza che i proventi delle estorsioni avevano per le casse del clan”.

Il “libro mastro di Monte Po” sequestrato a Santapaola era “un semplice foglio di carta contenente lettere e cifre”. Solo dopo un delicata indagine (con input offerti anche dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia) gli inquirenti riuscirono a decriptare le “sigle”. Da una parte indicavano i commercianti e le imprese che pagavano il pizzo, dall’altra invece venivano appuntate le uscite di “cassa” per il mantenimento dei sodali e anche delle famiglie dei detenuti. In altre parole “la carta degli stipendi”.

 


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