Il patto col diavolo

Il patto col diavolo

Una grande intesa per Palermo
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Raccontano di un pestaggio l’altra notte in una zona residenziale, a Palermo. Un ragazzo a terra. Chissà quanti a dare calci e pugni. Il lampo delle macchine che passano, nell’omertà. Si diceva: la differenza tra Nord e Sud è che a Milano, se cadi, non ti rialza nessuno. Anche a Palermo.
Ci sono mille episodi di violenza urbana che si potrebbero declinare in un compiuto alfabeto: dalla A di automobili in divieto di sosta alla Z di zozzerie assortite. Intorno, respira flebile il corpo flaccido di una città in fase terminale e sempre estrema nelle sue scelte. Quando sogna il risveglio, costruisce ponti d’oro sotto gli zoccoli del cavallo di colui che ha promesso di liberarla, salvo poi mettersi a piangere e a urlare, una volta svelata l’impostura. Quando si spegne, Palermo disarticola ogni sua più piccola luce. Fa buio, dal centro alla periferia. E’ la sua coerenza.

Giova ripeterlo: non sarà un sindaco a salvare questa città, ammesso che possa essere ancora salvata. Cosa vuol dire salvare una città? Significa tenerla insieme, perfino con i suoi cocci. Evitare che diventi un arcipelago di isole alla deriva, di piccoli mondi in guerra, di sconfinamenti che incendiano faide e aggressioni, di persone prese a calci, nel silenzio, perché il problema è suo, non mio. E non sarà un cavaliere solitario a rompere il sonno con un bacio sulle labbra della ex bella assopita. Stavolta la storia cambia e non è detto che sia un male. L’abisso regala la possibilità di poderose risalite. Palermo dovrà sopravvivere da sola, se vorrà, lavorando con le sue mani collettive, dando una scossa alla sua coscienza e trasformando finalmente la sua abulia in civismo. Palermo potrà ancora chiamarsi Palermo se voterà bene, se non accetterà la preferenza di scambio, se vigilerà con intelligenza sul potere, se adotterà comportamenti individuali e codici diversi.

Ma le elezioni non sono vicinissime. E, nel frattempo, qualunque ulteriore smottamento sarebbe fatale, visto che siamo al limite. Ecco perché l’idea di un grande patto – suggerita  timidamente da Davide Faraone e subissata di improperi – non ci sembra peregrina. Anzi. Un’intesa, senza colore politico, per scongiurare l’aggravamento della cancrena. Un accordo col diavolo, pure con Diego Cammarata che dello sfascio è il principale eppure non il solo responsabile. E’ un momento delicato. Gli uomini liberi di Palermo, qualunque sia la libertà che professano, hanno il dovere di alzarsi in piedi, allearsi, e mettersi in marcia. Non ci sarà perdono per i calcoli di bottega e per le omissioni davanti alle macerie fumanti.


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