CATANIA – Rosario Di Pietro, già responsabile di Scordia per il clan Ercolano Santapaola, ha deciso di collaborare con la giustizia e, con le sue dichiarazioni, si è autoaccusato di estorsione incastrando Aldo Ercolano, elemento di spicco della famiglia, non solo di sangue che comanda a Catania.
I suoi verbali sono finiti al centro dell’ultima operazione eseguita dalla Guardia di Finanza contro il racket delle estorsioni, un’indagine accurata per un comando provinciale, guidato dal generale Antonio Quintavalle in sinergia con la tributaria del colonnello Francesco Ruis e il Gico di Pablo Leccese, che ha dimostrato di portare a termine investigazioni su importanti colletti bianchi, ma anche di sferrare colpi micidiali alla mafia.
I VERBALI – Il pentito decide di vuotare il sacco quasi un anno fa. La sua collaborazione è rimasta, a lungo, avvolta dal silenzio. L’interrogatorio inizia con una domanda, che il pubblico ministero rivolge al collaboratore di giustizia: “Senta ma io le sto chiedendo più in particolar modo la riscossione dei crediti, cioè Aldo Ercolano si è mai occupato lui o mandava qualcuno a recuperare?”. Il pentito conferma. Aldo Ercolano “ha recuperato”. Ed è a questo punto del verbale che viene fuori il nome di Enzo Gambera, “un ragazzo che aveva una fungaia a Scordia”. Si tratta di un imprenditore “che doveva pagare dei trasporti per un totale di 25-30mila euro a una ditta di trasporti”.
Il rampollo della più spietata famiglia mafiosa etnea si fa avanti, proprio per recuperare i crediti, si sarebbe preso i soldi “direttamente, con Antonio Tomaselli”. Quest’ultimo è il reggente del clan Ercolano. Ma il pentito, come fa a sapere queste cose? “Perché direttamente Aldo – svela il collaboratore – ha parlato con me, siccome sapevano che questo Enzo Gambera tramite Bruno è un amico nostro, diciamo, tramite Rocco Biancoviso. Biancoviso gli dice, <guarda che Enzo Gambera è amico di Bruno e di Saro, allora siccome già noi era un periodo che ci conoscevamo con Aldo, e ci sono state diverse cose nei confronti di Rocco Biancoviso, e allora lui ha voluto fare tipo la cosa <è amico tuo?>. Stu Enzu Gambera, siccomu ma ddari 25mila euru, sta cosa ta spidugghi tu? Cioè, mi l’ava spidugghiari iu, mi fariti recuperari sti 25mila euro?”.
Di Pietro confessa di aver “sbrigato” la pratica. “Questa cosa in pratica a purtai avanti e gli dissi, <è un bravo ragazzo, cerchiamo di metterci d’accordo, vediamo se a mille euro al mese te li può pagare, e allora fu così, io parlai con Enzo Gambera, i fici incuntrari”.
L’INCONTRO – All’incontro partecipano Tomaselli e Ercolano. “Direttamente – ricorda il pentito – li portai alla fungaia in contrada Figo, parlarono di questo recupero e Aldo Ercolano gli disse, <c’è Saru, ca c’era iu davanti, ni stamu accurdannu ca tu a mia ma ddari milli euro o misi, cioè significa sti 25-30mila euro mi l’avissi a pagari in 25 – 30 misi, si tu na ‘ccuminci a pagari do misi, che non mi ricordo se era il mese successivo a quannu ava a pagari, iu viegnu ca e mi pigghiu tuttu chiddu ca c’è ca intra, ti smuntu tutti cosi, cioè tutti i macchinari, tutto quello che c’era là dentro diciamo”.
I macchinari in questione valevano 10 volte il debito. Passano i mesi, Gambera non consegna i soldi pattuiti ed Ercolano torna in campo. “Nel coccodrillo, nell’ufficio del coccodrillo – continua il pentito Di Pietro – allora Aldo Ercolano scende e mi dice: <Guarda che quello non sta pagando, chi c’è di fari? Ci iu dda e ci luvau tutti cosi, ci dissi aspetta, facciamo una cosa, siccome c’è la possibilità che tramite Antonio Cosentino anu a fari na piantagioni intra sta fungaia, ora videmu Enzu chi ni dici, se Enzo è d’accordo, diccillu, senti faciemu sta piantagioni? Ti pigghi 50, 100 mila euro e ti levi stu debitu”.
IL SISTEMA – Gli inquirenti sospettano che l’interessamento degli Ercolano alla riscossione dei crediti, ma soprattutto al fallimento di alcune imprese, non sarebbe limitato al caso Gambera. “Per quanto riguarda persone in fallimento, ditte in fallimento – dice il pentito – dove c’erano tutte queste cose qua, Rocco Biancoviso come sui fratello Mario e naturalmente con l’aiuto della famiglia Ercolano, c’erano sempre loro, che si impossessavano delle cose, diciamo, delle persone per avere l’utilizzo”.
In alcuni casi, acquisivano anche importanti strutture, come una “cementeria” a Catania. “A parte l’usura – insiste il collaboratore – si comprava anche, per dire, le ditte fallute”.
L’indagine dei finanzieri continua.