La rete di fedelissimi al servizio del boss| Estorsioni e rapine per garantire la latitanza d'oro - Live Sicilia

La rete di fedelissimi al servizio del boss| Estorsioni e rapine per garantire la latitanza d’oro

A garantire la latitanza di Matteo Messina Denaro, una rete fitta di boss e gregari disposta a tutto. A capo di questa, Girolamo Bellomo, il nipote acquisito che gestiva direttamente il traffico di droga, imponeva le ditte edili e pianificava le estorsioni per controllare il territorio. Una "fortezza" per assicurare al padrino continui canali di approvvigionamento economici.

Operazione "Eden 2"
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PALERMO – L’associazione criminale che si muoveva all’ombra di Matteo Messina Denaro pianificava ogni attività con l’obiettivo di continuare a garantire la latitanza del boss di Castelvetrano. I duri colpi inflitti alla cosca del Trapanese, tra sequestri, confische e gli arresti di parenti diretti, non hanno infatti impedito al padrino di impartire tuttora ordini e di sfuggire ancora alla cattura grazie a continui canali di approvvigionamento economico. I suoi fedelissimi, con la guida del nipote acquisito Girolamo Bellomo, detto “Luca”, venivano così indirizzati verso le attività che potevano sicuramente rimpinguare le casse della cosca: boss e gregari erano al completo servizio del latitante e disposti a tutto per fare soldi e garantire la sua sicurezza.

Basti pensare che Girolamo Bellomo, 37 anni, marito della nipote di Messina Denaro, Lorenza Guttadauro, e secondo gli inquirenti adesso a capo della cosca, gestiva direttamente i nuovi affari di Cosa nostra. Dalle indagini dell’operazione “Eden 2” dei carabinieri del Ros emergono attività meticolosamente coordinate da Bellomo, detto “Luca”. Nuovi affari, tra cui traffici di droga con l’Albania e la Colombia. Ma sotto la sua guida c’era anche l’ascesa di nuovi personaggi all’ombra dello zio. L’ultima parola doveva sempre essere la sua. E per sfuggire alla cattura, Bellomo avrebbe avuto in mente di andare via dall’Italia, al punto da cercare, negli ultimi tempi, qualcuno che gli affittasse casa all’estero.

Nel frattempo, però, le nuove strategie basate sullo stretto legame tra la mafia trapanese e i boss di Brancaccio, hanno delineato un’organizzazione criminale disposta a tutto. Oltre al traffico di droga, per rimpinguare le casse di cosa nostra erano necessarie le estorsioni, con tanto di intimidazioni, danneggiamenti e aggressioni. Bellomo, d’altronde, avrebbe interamente preso in mano gli affari della cosca dopo gli arresti del cognato Francesco Guttadauro e di Patrizia Messina Denaro, finiti in manette nel dicembre 2013E il passaggio del testimone obbligato ha nel frattempo permesso al super boss di rimanere latitante e di continuare a dettare legge. Quella che ormai aveva preso vita – secondo le accuse – era un’organizzazione di respiro internazionale: le intercettazioni svelano contatti, traffici e viaggi all’estero effettuati dallo stesso Bellomo che si sarebbe recato di persona in Albania per ritirare un grosso carico di marijuana ed era in contatto diretto con gli esponenti dei cartelli colombiani per pianificare l’importazione della cocaina dal Sud America. In particolare, Girolamo Bellomo era partito per l’Albania soltanto alcuni mesi fa, per recarsi subito dopo in Spagna ed Olanda. Poi, è rimasto per cinque giorni in Colombia. Al telefono con Salvatore D’Angelo, Bellomo aveva ultimamente manifestato l’esigenza di scappare all’estero:

Bellomo:  “Gli arredamenti, le cose, dico veramente, ci possiamo sistemare, io già ad Enza gliel’ho detto, io penso che mi trasferirò là
D’Angelo:” Buono”
Bellomo: “Per lavoro”
D’Angelo:” Buono, ed io pure, facciamo avanti e indietro
Bellomo: “Facciamo, abbiamo una casetta, esatto eh, ci danno pure la, io gli ho detto “ma io per trasferirmi dovrei affittare una casa”, “te la diamo noi”

Insomma, Bellomo aveva riorganizzato la struttura criminale attraverso nuove affiliazioni e l’avvio di un pervasivo e rigido controllo del territorio con metodi violenti e intimidatori. Un sistema nel quale grande importanza era data a rapine ed estorsioni, sempre al fine di garantire la latitanza del padrino. Risale soltanto ad un anno fa, ad esempio, l’assalto nel deposito dell’azienda “TnT” di Campobello di Mazara. I locali appartengono alla “Ag Trasporti”, una Srl sequestrata perché riconducibile a Cesare Lupo, arrestato con l’accusa di essere un pezzo grosso della mafia di Brancaccio e “amministratore” dei beni dei fratelli Graviano. Da quel deposito furono rubati seicento colli di merce e diciassettemila euro in contanti, finiti tutti nelle casse della cosca di Francesco Guttadauro e Girolamo Bellomo, che in quel caso si avvalse di un commando formato da otto persone, di cui alcune non sono mai state identificate.

Sono stati due collaboratori di giustizia bagheresi, Salvatore Lo Piparo e Benito Morsicato, a raccontare che ci ci sarebbe la mafia dietro l’assalto: le indagini dimostrano come la decisione di procedere alla rapina fosse, in quell’occasione, fosse dettata dall’esigenza di compensare il danno economico provocato dal sequestro giudiziario e dalla successiva confisca della società. Bellomo era uno degli ultimi parenti di Matteo Messina Denaro a potere avere campo libero: negli ultimi anni e nel corso dei blitz antimafia delle forze dell’ordine, sono stati dieci i familiari del latitante a finire in arresto. E con lo scopo di far confluire nelle casse della famiglia i proventi necessari al sostentamento logistico dello zio, il nipote acquisito avrebbe anche esercitato pressioni su imprenditori di Castelvetrano, per garantire l’aggiudicazione di opere edilizie, a favore di società riconducibili ai Messina Denaro.

Bellomo poteva così contare – secondo gli inquirenti –  anche su un gruppo di picchiatori e uomini fidati che mettevano in riga chi non abbassava la testa. Tra questi, i fratelli Leonardo e Rosario Cacioppo, finiti in arresto nel corso del blitz: i due, in base a quanto accertato dagli investigatori, hanno minacciato il potenziale acquirente di una pizzeria di loro proprietà, che dopo avere preso accordi soltanto verbalmente, fece marcia indietro. I fratelli lo pressarono pretendendo i trentamila euro pattuiti: il clan di Bellomo non poteva permettersi di perdere quei soldi. I Cacioppo, allora, dando vita ad una vera e propria caccia all’uomo, si recarono dal nipote del commerciante, colpirono con forza la porta della ditta in cui lavorava e costrinsero il parente a consegnare un ‘anticipo’ di tremila e cinquecento euro

Parallelamente, gli affari di Bellomo proseguivano. Si era anche presentato insieme a Giambalvo – il consigliere comunale accusato di avere partecipato al pestaggio di un pregiudicato – agli imprenditori che stavano realizzando un nuovo centro commerciale a Castelvetrano, “L’Aventinove”, per imporre le ditte collegate al clan mafioso. Ma non finisce qui, perché quando i gioielli di famiglia furono rubati, bisognava recuperarli. Fu allora che il sospettato dell’associazione, il pregiudicato Massimiliano Angileri fu pestato a sangue da Giuseppe Fontana e Calogero Giambalvo. Un raid punitivo al quale seguì “l’avvertimento” di Fabrizio Messina Denaro, detto Elio: Rosario Cacioppo lo incaricò di minacciare la madre del presunto autore del furto perché i gioielli della famiglia “dovevano tornare indietro”, proprio come viene riferito a Vito Tummarello, tra i sedici arrestati di oggi:

Cacioppo: “Quando praticamente il fatto che gli abbiamo detto a Elio (Fabrizio Messina Denaro inteso Elio, ndr ) di andare dalla vecchia a dirle di prendere le cose per darcele… non ci sono 50 mila euro tuoi dice noi abbiamo preso inc.. e lo abbiamo portato al co…la voglio vedere tutta se gli fa il regalo e lui e spaventato perché dice che ancora cercano il colpevole e mi avete buttato la patata bollente a me … di qua… di là… dice ma intanto hai recuperato 50 mila euro d’oro ed hai fatto una figura a Castelvetrano che praticamente tutta Castelvetrano dice minchia hanno rubato a casa di Peppe Rocky (Giuseppe Fontana, ndr) e vedi quello che è successo dice vedi che hai preso punti anzi e lui se l’ è presa perché secondo lui non doveva essere fatta una cosa del genere.

Tra gli uomini che formavano la rete al servizio di Messina Denaro, anche degli insospettabili. Si tratterebbe di un elettrauto che controllava se nelle vetture del boss ci fossero microspie e un dipendente della Motorizzazione civile di Trapani che verificava le targhe sospette. Ma anche una comparsa della soap opera della Rai “Agrodolce”, girata in Sicilia, Salvatore Lo Piparo, che sarebbe affiliato al clan di Bagheria, da sempre vicino a Messina Denaro.


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