La solitudine di Ciancimino jr. - Live Sicilia

La solitudine di Ciancimino jr.

Massimo Ciancimino

A Caltanissetta i pm ne hanno stroncato l'attendibilità tanto da essere prossimi a chiedere la condanna per calunnia. E anche a Palermo le cose non sono più come una volta se, come pare, i magistrati stanno tentando di salvare almeno una parte di ciò che racconta il figlio di don Vito.

Il processo Trattativa Stato-Mafia
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PALERMO – La scena se l’è ripresa, ma è chiaro ai più che ormai si tratti di un monologo. Massimo Ciancimino è sempre più solo – non isolato, che è ben altra cosa – con le sue verità o pseudo tali. A giudicare dalle prime due giornate di esame dell’imputato-testimone al processo sulla Trattativa Stato-mafia siamo lontani anni luce dallo scintillio di un tempo.

È una questione formale e sostanziale. Al primo giorno di esame c’erano le scolaresche a gremire i posti riservati al pubblico nell’aula bunker dell’Ucciardone, assieme a qualche agenda rossa in ordine sparso (non c’era, però, Salvatore Borsellino). Il secondo giorno, neppure quelli. Qualche telecamera in più si è vista, nulla a che vedere, però, con lo schieramento di obiettivi di un tempo. Dopo l’udienza – segnata dalla notizia che il signor Franco, lo 007 dei mille misteri, sarebbe niente-popò-di meno che il segretario generale del Quirinale – nessuna manifestazione di compiacimento da parte di chi, in passato, non si sarebbe fatta sfuggire l’occasione per dire che, sì, i cattivi, come sempre, sono dentro i palazzi del potere.

Fin qui la forma che fa da contenitore. Le stesse crepe si registrano, però, nella sostanza. Per prima cosa uno degli storici difensori di Ciancimino, l’avvocato Francesca Russo, ha rinunciato al mandato dopo anni di via vai nei tribunali di mezza Italia, Sicilia compresa. “Normale venir meno del rapporto di fiducia”, dice lui. “Non condivisione sia delle scelte difensive che della gestione del cliente”, dice lei lasciando intendere una spaccatura più profonda. Soprattutto, però, c’è l’atteggiamento dei pm di Palermo, quelli che in Ciancimino jr hanno sempre creduto, nonostante da qualche altra parte avessero sollevato più di un dubbio. E cioè a Caltanissetta dove i pm ne hanno stroncato l’attendibilità tanto da essere prossimi a chiedere la condanna per calunnia. Eppure anche a Palermo le cose non sono più come una volta se, come pare, stanno tentando di salvare almeno una parte di ciò che racconta Ciancimino. Non è un caso che il pubblico ministero Antonino Di Matteo in aula gli abbia chiesto di limitare il suo racconto “solo ai fatti di cui è stato testimone diretto”. Perché per i pm gli incontri fra i Ciancimino, padre e figlio, il capitano dei carabinieri Giuseppe De Donno e il generale Mario Mori segnarono il via della Trattativa culminata con la consegna del papello da parte di Totò Riina.

Che Caltanissetta e Palermo la pensino in maniera diversa su Ciancimino lo si capisce anche dall’ultima patacca contenuta nel verbale sul fantomatico signor Franco. In quello depositato a Palermo non c’è la foto di Ugo Zampetti (Ciancimino nel 2012 aveva visto in tv l’allora segretario della Camera dei deputati, oggi al Quirinale, e disse che era lui il signor Franco) e nella parte in cui il testimone spiegava che lo 007 faceva parte dell’entourage di importanti politici viene omissato il nome di Napolitano citato assieme a Scalfaro, Violante e De Gennaro. A Caltanissetta non hanno badato per il sottile e hanno depositato il verbale senza omissis. A dire il vero sulla vicenda neppure i pm palermitani hanno creduto a Ciancimino visto che in quattro anni – il verbale è del 2012 – non hanno fatto alcun accertamento dopo avere visto la foto di Zampetti. Il nome del potente uomo dei palazzi romani, d’altra parte, saltò fuori nel corso di un surreale interrogatorio.

Ciancimino aveva rivelato in un’intervista di conoscere l’identità dello spione e di non averla ancora svelata per paura. E così i pm di Palermo e Caltanissetta lo convocarono d’urgenza. A loro Ciancimino jr negò il contenuto dell’intervista. Ammise di avere rifilato “una polpettina” – sono parole sue – ai cronisti per conquistarsi “un po’ di credibilità”. “Ma scusi se lei continua a dare versioni…”, disse stizzita il pm Lia Sava che lo interrogava assieme a Di Matteo e ad Antonio Ingroia.

Già, Ingroia, il primo ad avere “abbandonato” Ciancimino dopo avergli affibbiato l’etichetta di “quasi icona dell’antimafia”. Messo alle strette il super testimone chiese di sospendere l’interrogatorio. Al rientro, ecco la novità: il signor Franco era un uomo che aveva visto in tv durante le consultazioni per assegnare a Mario Monti l’incarico di premier. Era Ugo Zampetti. Giovedì si torna in aula davanti alla Corte d’assise per proseguire l’esame. E chissà che altri misteri non facciano capolino nella sua deposizione.


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