La Trattativa, Berlusconi, Mannino: il valzer di Brusca

La Trattativa, Berlusconi, Mannino: il valzer di Brusca

Ricordi tardivi, confusione, amnesie: storia del pentito e testimone chiave

PALERMO – Non è facile, per molti – i parenti delle vittime di mafia – addirittura impossibile scindere le due figure: Giovanni Brusca collaboratore di giustizia e Giovanni Brusca killer di un numero indefinito di omicidi. Ma è sul boss pentito che si deve provare a fare un’analisi visto che è grazie alla sua collaborazione con lo Stato che Brusca, boss stragista e strangolatore di bambini, ha ottenuto la scarcerazione dopo 25 anni di detenzione. Altrimenti sarebbe rimasto all’ergastolo fino alla fine dei suoi giorni.

Quando nel 2012 disse…

Che tipo di collaboratore è stato Brusca? Bisogna tornare indietro nel tempo per rintracciare il tratto distintivo della sua collaborazione. Aprile 2012, l’ex boss di San Giuseppe Jato, che ha deciso di non essere più “u verru” (il porco), è seduto davanti ai pubblici ministeri di Palermo Antonio Ingroia e Lia Sava. “Ci ho pensato tanto, prima di dire questa cosa. Proprio ci ho pensato, ripensato, è giusto, non è giusto, è giusto, non è giusto…”.

Aveva chiesto di essere interrogato nell’ambito di un’inchiesta su un tentativo di estorsione che avrebbe realizzato mentre era in carcere. Rischiava la revoca del programma di protezione (alla fine sarebbe stato assolto e un’altra ipotesi di reato andò prescritta).

La trattativa Stato-mafia

Qual è il tema su cui tanto Brusca aveva riflettuto? La trattativa Stato-mafia, che divenne l’argomento di quell’interrogatorio. Siamo alle battute finali del processo di appello, dopo che in primo grado sono state inflitte condanne pesantissime ai boss e ai carabinieri che avrebbero siglato un patto sporco per fermare la stagione delle bombe. Brusca è il solo testimone chiave del processo, dopo che Massimo Ciancimino ha perso ogni credibilità.

Nel 2012 i pm iniziano a interrogarlo solo sulla trattativa, sull’estorsione Brusca non era più pronto. E parla di Marcello Dell’Utri, che in primo grado è stato condannato a 12 anni. Sarebbe stato l’ex senatore di Forza Italia, già colpevole per mafia, uno degli artefici degli accordi inconfessabili fra uomini dello Stato e mafiosi.

I ricordi dopo 16 anni di silenzio

Gli chiedono perché mai ne parli solo adesso, a distanza di sedici (16) anni dal suo pentimento. Brusca farfuglia di averlo già detto mentre parlava a gesti con il cognato. Era intercettato, ma di questo dialogo non c’è alcuna trascrizione.

E insiste: “In questo passaggio guardando negli occhi mio cognato, gli faccio così, con le dita, per dire che non l’ho detto, l’ho omesso… Cioè io nella sostanza a mio cognato sto dicendo che io so di più di quello che ho detto sia pubblicamente che a voi magistrati… non so se dal sonoro si può capire. È nello sguardo, nei toni e nel commento tra me e mio cognato. Non ho detto tutto… non lo troverete mai…”.

Nel dicembre 2013 Brusca è già diventato il super testimone del processo. Testimone e imputato (per lui in primo grado è scattata la prescrizione). Il collaboratore non ha più tentennamenti. I suoi ricordi sono lucidissimi. Fuori tempo massimo, ma lucidissimi. Aggiunge che sapeva del papello, le richieste di Totò Riina allo Stato per fermare le stragi.

Il papello di Riina

Anche sul papello nulla ha detto per anni. Poi tirò fuori l’argomento, ma fece confusione sulla collocazione temporale. Disse che Riina gliene parlò dopo la strage di via D’Amelio. Anzi no, ne era venuto a conoscenza a cavallo dei due eccidi, appena dopo quello di Capaci. “Tornato in cella con questo dubbio da lì ho subito ricordato come sono andati i fatti”, disse lo smemorato Brusca. Che volesse compiacere coloro che lo stavano interrogando?

Berlusconi e Dell’Utri

Poco prima nel suo racconto era comparso Silvio Berlusconi. Lo aveva contatto nel 1993 attraverso Vittorio Mangano, lo stalliere di Arcore, e Dell’Utri per avvertirlo che in mancanza di un accordo la stagione delle bombe sarebbe continuata. Non ne aveva parlato prima per paura, perché in tempi non erano maturi etc etc.

Il caso di Calogero Mannino

Ma è forse nel caso di Calogero Mannino che Brusca ha dato il meglio di sé, manifestando una sindrome di cui soffrono molti collaboratori di giustizia: la rateizzazione di ricordi. La Procura generale aveva tentato di giocarsi l’ultima carta per ottenere l’annullamento dell’assoluzione dell’ex ministro democristiano. Con Mannino innocente è venuto meno l’incipit della stessa trattativa, visto che secondo l’impostazione accusatoria fu proprio il politico democristiano ad allertare il generale Mario Mori temendo di essere ammazzato.

Nel ricorso in Cassazione, dichiarato inammissibile, la Procura generale sostenne che la “mancata convocazione di Giovanni Brusca per chiarire un passaggio delle sue dichiarazioni rese in aula nel maggio 2018” era addirittura incostituzionale. L’ex boss aveva riferito che Riina voleva uccidere Mannino dopo che “era stato cercato da parte di Salvatore Riina per aiutarlo tipo ad aggiustare processi o qualche altro favore, per intervenire su qualche cosa”.

Peccato, però, che nei tanti processi in cui è stato sentito, anche in quello in cui Mannino fu assolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, mai Brusca ha parlato di favori resi dal politico alla mafia, né tanto meno dell’aggiustamento del processo per la morte del capitano dei carabinieri Emanuele Basile, assassinato nel 1980.

E così il collegio di appello che lo ha mandato assolto ha motivato parlando di “grave incostanza del Brusca”, di frasi “a scoppio decisamente ritardato, secondo uno schema di chiamata ad orologeria, per nulla tranquillizzante, pur avendo in passato avuto svariate occasioni per farlo, come ammesso dagli stessi procuratori generali”.

Procuratori generali che al processo di appello sulla Trattativa, prima di iniziare la requisitoria, si sono spinti a bollare come “illogica” l’assoluzione di Mannino. Lo hanno fatto con una memoria che ha la pretesa di valere più di tre gradi di giudizio, Cassazione compresa. Hanno sbagliato tutti i giudici che hanno assolto l’ex ministro, ma sono stati “approssimativi e confusi” nella ricostruzione dei fatti. Dipendesse dalla pubblica accusa inserirebbero un quarto grado di giudizio pur di provare ad avere ragione.

Brusca meritava un premio?

Si ammetta per un istante – anche se le inchieste e i processi hanno finora stabilito il contrario – che sia vero ciò che ha detto Brusca su Mannino, Berlusconi e gli altri politici che ha tirato in ballo nel suo tortuoso percorso dichiarativo. Il collaboratore di giustizia Giovanni Brusca meritava premi, come gli ottanta permessi di cui a goduto durante la detenzione, per i suoi ricordi tardivi?

Di cose vere ne ha raccontate tante e tutti riscontrate, ma se non c’è giustizia piena è anche per colpa di chi, come lui, ha preso per mano alcuni magistrati e li ha condotti in un terreno rassicurante. Qualcuno dice che servirebbe un pentito di Stato per chiarire i misteri che ci portiamo dietro da anni. Speriamo si materializzi presto, ma almeno che sia gestito meglio del passato.


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