Naufragio e lacrime, l'ora in cui siamo tornati umani - Live Sicilia

Naufragio e lacrime, l’ora in cui siamo tornati umani

Forse qualcosa è cambiato. Forse è tornato uno sguardo antico. Ecco perché.

Forse, per raccontare che qualcosa è cambiato, si può cominciare da una foto e da una cronaca che viene da Lampedusa, in calce alla notizia dell’ultimo, tragico evento. Si vede una bambina, con i suoi occhi in primo piano, salvata dalle acque, mentre l’infermiera Carmen, del Corpo italiano di Soccorso dell’Ordine di Malta, la sorregge, in attesa di riconsegnarla alla mamma.

E’ un’immagine potente perché restituisce verità ai viaggi dei migranti e umanizza ciò che era stato dimenticato nel recinto degli scarti. Non sono numeri, non sono materiale a perdere, non sono elementi di risulta che possiamo aggiungere alla conta dei morti nella macabra ritualità della nostra indifferenza. Sono persone, i migranti. E qui c’è una mamma che ha ritrovato la figlia che credeva perduta. Ci immedesimiamo in lei, in quell’angolo di porto sovrastato dalla notte e dalle lacrime.

Diceva il perfido Shylock di Shakespeare in un celebre monologo del ‘Mercante di Venezia’: “Non ha forse occhi un ebreo? Non ha mani, organi, membra, sensi, affetti e passioni? Non si nutre egli forse dello stesso cibo di cui si nutre un cristiano? Non viene ferito forse dalle stesse armi? Non è soggetto alle sue stesse malattie? Non è curato e guarito dagli stessi rimedi? E non è infine scaldato e raggelato dallo stesso inverno e dalla stessa estate che un cristiano? Se ci pungete non versiamo sangue, forse? E se ci fate il solletico non ci mettiamo forse a ridere? Se ci avvelenate, non moriamo?”. E certo che lo diceva per giustificare un ingiustificabile e crudele proposito di vendetta. Ma, in tanta oscurità, brilla una luce involontaria: non è possibile deumanizzare gli uomini, se non a costo di deumanizzare se stessi.

E forse qualcosa è cambiato anche per tutte le altre immagini arrivate dal molo Favaloro e dai dintorni, per reazione all’overdose di cinismo. Per la semplice profondità delle parole che abbiamo raccolto, le fasi drammatiche del salvataggio nel mare in tempesta, il coraggio di eroi semplici che non hanno esitato a tuffarsi, a rischiare, per qualcosa che – nonostante la loro preziosa umiltà – non sarà mai un semplice lavoro.

Forse, perché finalmente abbiamo visto, perché stavolta è difficile sostituire la realtà con le propagande rispettivamente nemiche, perché abbiamo notato i corpi alle prese con le onde, qualcosa è davvero cambiato. Dove? Nei commenti sul web e oltre che si sono raddolciti. Nella commozione di chi ha smesso di dividersi e si è concentrato sull’unica cosa che conta: l’umanità.

Questo ci pare di avere auscultato e di dovere necessariamente sottolineare, una differenza di ritmi nel battito del cuore collettivo. E se non fosse così, c’è sempre tempo. C’è sempre l’occasione per uno sguardo antico che dia a una bambina, scampata alla morte, soltanto gli aggettivi e le definizioni suggeriti dall’amore.

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