L'atroce massacro di Licata, nella mente di Angelo Tardino

L’atroce massacro di Licata, nella mente di Angelo Tardino

Perché è divampata la follia? Ecco le risposte possibili.

Chissà quando è nato, nella mente di Angelo Tardino, il male infinito che ha compiuto, ammazzando e ammazzandosi. Chissà quando ha smesso di avere pietà. Se è stata una cattiveria fresca di rabbia, oppure se l’odio lo aveva accecato da tanto tempo. Chissà perché e come siamo arrivati a un indicibile che tutte le parole hanno difficoltà a raccontare. Noi, che siamo lontani, riviviamo continuamente la scena come un incubo. La disputa con il fratello, conclusa dai colpi di pistola. L’ingresso in casa. L’uccisione della cognata che dorme. Gli spari contro la piccola Alessia, che ha sentito e cerca di fuggire. Un altro colpo contro il piccolo Vincenzo. Che forse non si è accorto di passare dal sonno alla morte. Ma cosa siamo ridotti a pregare, se la nostra speranza si ferma al grado appena minore dell’atrocità e, appunto, spera che un bambino non si sia reso conto del suo stesso morire a causa di una innominabile violenza?

La cronaca ha raccontato tutto. Sappiamo come sono morti Diego Tardino, Alexandra Ballacchino, con Alessia e Vincenzo. Sappiamo che è stato il fratello, il cognato, lo zio. La sorgente del rancore? Campi coltivati, un pozzo d’acqua, il nulla del niente. Ma è accaduto. L’ossessione per la ‘roba’ – così noi siciliani chiamiamo la terra, i beni materiali, l’effimera sicurezza del patrimonio – si è spinta, con la mano armata di pistola, sulla soglia di una casa di campagna in contrada Safarello, a Licata. Una strage è stata compiuta, nel fresco della mattina, quando gli odori delle cose assumono una consistenza penetrante, tra la realtà delle cose stesse e la nostalgia.

Il professore Daniele La Barbera è uno psichiatra molto bravo e molto noto. Definizione che giustifica e comprende il senso di sollievo che si prova, grazie alla sua disponibilità, nel parlare insieme di vicende che mettono in forte crisi emotiva il nostro sguardo. Nessuno può essere immune dall’ondata di dolore che la strage di Licata ha sollevato.

“Sono rimasto spiazzato come tutti – esordisce il professore –. Stamattina (ieri mattina, ndr), mentre ero in macchina, ci pensavo, con molta angoscia. Ovviamente non conosco le persone coinvolte, ma qualche idea me la sono fatta, anche da fuori. E la prima idea è questa. Secondo me, un episodio, talmente unico, tragico ed estremo, rappresenta una metafora inconcepibile di quello che accade ad alcuni, per fortuna non tutti, che sono disposti a sacrificare le relazioni umane per i beni materiali, compromettendo rapporti affettivi e di parentela. E’ chiaro che qui siamo in un contesto abnorme che, tuttavia, ha un legame con il disvalore di chi preferisce le cose al prossimo”.

“Siamo davanti a un atto psicotico – continua il professore – che ha provocato un danno incalcolabile per generazioni, con ferite che lasceranno delle tracce a lungo, un cortocircuito, un’azione totalmente insana. Siamo davanti a una di quelle situazioni in cui la rabbia e l’odio divampano per un conflitto cronico. E’ come se, in storie del genere, si sviluppasse un veleno che intossica la vita mentale. Tutti noi abbiamo una doppia cittadinanza: abitiamo il villaggio globale postmodermo, ma anche un luogo arcaico e tribale. Ma è pacifico che stiamo parlando di un caso tragicamente speciale e di un soggetto, Angelo Tardino, che doveva soffrire di aspetti particolari che ho hanno portato a un rancore lacerante e alla disperazione assoluta. Il suo appagamento era verosimilmente orientato verso il raggiungimento dello scopo, della terra, dei beni. Quando ha trovato un ostacolo, la dinamica si è trasformata in un meccanismo di morte. Perché ha ucciso? Per il pensiero malato: se non posso avere io, non avrà nessuno”.

“Ci sono due dinamiche ulteriori che si possono citare – è la conclusione -. L’onnipotenza: le cose devono andare come dico io e non sono disposto a rinunciare a niente di ciò che ritengo debba spettarmi. L’incapacità di tollerare le frustrazioni, per cui se non posso avere tutto ciò che voglio sono disposto a uccidere e morire. Se lui avesse accettato qualche piccola rinuncia o compromesso rispetto al suo desiderio onnipotente, cinque persone sarebbero ancora vive”.

Ma quelle persone, invece, sono morte. Diego, ucciso subito. Alexandra e Vincenzo, mentre dormivano. Almeno si spera. Solo Alessia, secondo la cronaca disponibile, ha fatto qualche passo prima di essere colpita alle spalle. “Li ho uccisi tutti”, ha gridato Angelo Tardino dentro un telefonino che aveva la voce di sua moglie, l’ormai remoto indirizzo di una umanità distrutta. Poi, in una mattina che resterà conficcata nel cuore di tutti, è stato esploso l’ultimo sparo.

Il professore Daniele La Barbera


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