Le partite, Musumeci, Miccichè: la Finanziaria della vergogna

Le partite, Musumeci, Miccichè: la Finanziaria della vergogna

I giochi di potere e la Sicilia che aspetta, invano, risposte.
PALAZZO DEI NORMANNI
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Della Finanziaria bloccata, quando, finalmente l’eterna seduta aperta il 30 aprile e mai chiusa approderà a qualcosa, verrà tragicomicamente ricordato il contorno. La battuta di Gianfranco Miccichè sul sollievo perché lui e Cracolici avrebbero potuto vedere in santa pace Juventus-Inter. Un altro ‘provvidenziale’ stop che permette una discreta fuga verso lo stadio ‘Barbera’, un tempo perennemente sospeso – il tempo del privilegio e di chi può permettersi di sospenderlo – con le risposte concrete, il centro perduto, che non arrivano, un acido rimpallo di responsabilità, dietro ai quali lampeggia qualche sorriso castale.

E poi ancora, il vertice del centrodestra con Roberto Lagalla, tanto si sa che le cose davvero importanti riguardano poltrone, poltroncine e seggiolini. Un presidente della Regione in forma smagliante, che si tiene lontano dall’aula, ma che che rilascia interviste edificanti in cui spiega di avere perdonato Micciché, quel birboncello, per certe sue recenti intemperanze. Una opposizione che polemizza perfino con i muri, dimenticando che, in quelle contrade e da moltissimi anni, la storia non cambia.

E poi? Cosa resta nell’elenco? Ah sì. Il braccio di ferro, i calci metaforici negli stinchi, le smentite e le trascrizioni. Quella promessa da marinai o da politici: ‘chiudiamo oggi’, che si aggiornerà automaticamente domani. E il senso di spossatezza nell’annotare che la Sicilia agonizzante e immobilizzata deve pure sostenere lo spettacolo di svariati conflitti di potere – politici, elettorali, personali e faziosi – che nulla hanno a che fare con le sue domande senza soluzione.

Per cui andiamo avanti così, in questo eterno 30 aprile che ha fermato le stagioni, tra sorrisini, battutine, intervistine e sceneggiatine. Il diminutivo non è casuale e dovrebbe essere seguito da un colossale sentimento della vergogna. Tuttavia, la vergogna, da quelle parti, è come il celebre gatto di Alice nel Paese delle meraviglie. Non si vede, proprio perché c’è.


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