PALERMO- “Noi non ci immischiamo con Falcone e Borsellino”, diceva Maurizio Di Fede alla mamma di una bambina di sette anni. Era inaccettabile per l’uomo arrestato dalla polizia con l’accusa di essere il boss della famiglia di Roccella, che la bambina partecipasse con i compagni di classe a una manifestazione di commemorazione della strage di Capaci. “Non ti permettere – aggiungeva Di Fede tre anni fa – Io mai gliel’ho mandato mio figlio a queste cose”.
Erano parole di odio quelle pronunciate dall’uomo considerato lo stratega della famiglia mafiosa che fa parte del mandamento di Brancaccio.
“La bambina da un mese si prepara”, la madre provava a vincere le resistenze di Di Fede. Che mise le cose in chiaro una volta e per tutte: “Noi non ci immischiamo con Falcone e Borsellino… queste vergogne… alla Magione, là sono nati a cresciuti, i cornuti là sono nati”. La piccola non doveva partecipare alla visita in piazza Magione, organizzata dalla fondazione che prende il nome dal giudice assassinato e della moglie Francesca Morvillo. “Se gli mandi la bambina sei una sbirra”, urlò Di Fede . “Falcone, minchia che cosa inutile”, non c’era altro da aggiungere. I bambini andavano tenuti lontani da ogni iniziativa di legalità. È uno spaccato desolante che però non sorprende quello che emerge dall’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Salvo De Luca e dai sostituti Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli.