L'omicidio di Sara, la "crudeltà" dell'assassino e il giallo del biglietto

L’omicidio di Sara, la “crudeltà” dell’assassino e il giallo del biglietto

La convalida del fermo di Stefano Argentino
il provvedimento
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PALERMO Freddo e distaccato. Stefano Argentino ha confessato senza mostrarsi pentito. Una “personalità violenta” che merita di stare in carcere. Così scrive il giudice per le indagini preliminari sull’assassino della studentessa universitaria Sara Campanella, di 22 anni.

Lei non ne voleva sapere di iniziare una relazione e lui le ha tagliato la gola. Secondo il Gip Eugenio Fiorentino, che ha convalidato l’arresto, si è trattato di un omicidio aggravato dai motivi futili e abietti, dalla premeditazione e dalla crudeltà.

Le modalità della “condotta di Stefano Argentino palesano la volontà di infliggere alla vittima sofferenze aggiuntive rispetto al normale processo di causazione della morte”, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare.

Dopo il delitto il ventisettenne è scappato. I militari lo hanno rintracciato grazie al positioning e cioè individuando la cella a cui si era agganciato il suo telefonino. Era nel B&b che la sua famiglia gestisce a Noto, in provincia di Siracusa.

Le indagini, però, proseguono. I carabinieri del Comando provinciale di Messina si concentrano su chi potrebbe averlo aiutato. In mano al procuratore Antonio D’Amato e al sostituto Alice Parialò c’è un biglietto scritto dalla madre di Argentino e indirizzato all’altro figlio.

“La donna faceva riferimento alla necessità di allontanarsi per un po’ con la scusa di curarsi rassicurandolo – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – allo stesso tempo sulle proprie condizioni, nonostante dai successivi accertamenti non risultassero particolari problemi di salute della donna che le giustificassero l’allontanamento. Circostanza che quindi suffraga la convinzione che dietro tale allontanamento si celasse la volontà della donna di aiutare il figlio a non farsi trovare”.

Nel corso dell’interrogatorio di garanzia Argentino, accompagnato dall’avvocato Raffaele Leone che ha poi rinunciato al mandato (“Non mi occupo di penale”, ha spiegato), ha lasciato intendere che l’ultima discussione ha scatenato l’aggressione. Ha raccontato di avere avvicinato la vittima per avere notizie “in merito ad un’operazione a cui Sara si era sottoposta” e “per comprendere le ragioni per le quali avesse ritenuto di non rispondere ad un messaggio che le aveva inviato nello scorso mese di gennaio”.

Le ha chiesto perché avesse fatto “scena muta”, proprio come in altre occasioni. Sara era “silenziosa” e “indifferente” ha spiegato l’assassino fuggito dopo il delitto “perché non sapevo cosa fare”. Una discussione di poco conto, dunque. “Uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità di quanto commesso” lo definisce il giudice. L’ultima discussione è stata “un mero pretesto per dare sfogo al proprio impulso criminale”.


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