L'ultimo sguardo di Paolo Borsellino

L’ultimo sguardo di Paolo Borsellino

Chi era in via D'Amelio racconta. E ricorda quegli occhi che rinascono per un giorno solo.
LA STRAGE DI VIA D'AMELIO
di
3 min di lettura

Toni Vullo è stanco e ne ha buon diritto. Non è stanco di ricordare, ma perché, in ogni luglio da sopravvissuto, le domande sono sempre le stesse, mentre, per il resto dell’anno, regna il silenzio. E non è giusto. Il dolore di via D’Amelio merita più di un pensiero quotidiano. Toni era lì, in macchina, come componente della scorta del dottore Paolo Borsellino. Tutti gli eventi di quel giorno gli passano davanti continuamente. Ma soltanto intorno alla fine di luglio, nelle vicinanze del diciannove, si trasformano in parole da pronunciare.

Sì, sono stanco – spiega -. Condivido l’impegno della memoria, perché io c’ero. Ma non è facile. Le ferite non passano mai”. La chiacchierata è telefonica, tuttavia, pure a distanza, si indovina il travaglio. E verrebbe di scusarsi. Scusa, Toni, perché stiamo parlando delle tue ferite, senza abbracci. Scusa, perché noi la consideriamo cronaca. Invece, per te, è vita vissuta, sopravvissuta, e strappata, lutto di amici morti, tormento che non passa e che non può passare.

Ma Antonio è una persona buona e gentile. Le cicatrici non lo hanno inaridito, nonostante il trauma di trovarsi nell’epicentro di via D’Amelio. Morto il giudice Paolo Emanuele Borsellino, morti Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Emanuela Loi, Claudio Traina. Toni Vullo è sopravvissuto e racconta, ancora una volta, la storia.

“Il dottore Borsellino era un uomo molto serio, però, ogni tanto gli piaceva scherzare con i giochi di parole. Come, a giugno, qualche settimana prima. Siamo in un ascensore e con me c’è Claudio Traina. Il dottore legge la classica targhetta: ‘Capienza quattro persone. Claudio, Toni, allora, quante persone ci vanno? Claudio risponde: ‘Quattro, dottore’. E il dottore Borsellino pronto: ‘No, cinque. Quattro persone più Enza, perché Enza ci capi‘. Fu una delle ultime volte che lo vedemmo rilassato”.

Piccoli frammenti di umanità, lontani dal marmo delle statue con cui si vuole circondare, talvolta, la vita degli uomini per renderli miti. E non si rammenta mai abbastanza che il mito vero nasce dalla fragilità, dalla carne, dall’amore con cui si sceglie di andare avanti, nonostante tutto, sapendo di potere perdere tutto.

Toni ricorda, perché non ha mai smesso: “Ricordo il giudice al citofono, in via D’Amelio. La sua faccia era contratta, con gli occhi come velati. Agostino gli aveva acceso la sigaretta. Il dottore Borsellino non era sereno. Aveva già saputo che il tritolo per lui era arrivato a Palermo”.

Così viveva un uomo che era un marito e un padre. Con la sua condanna a morte scritta sul viso. Il resto è una cronaca di fuoco, fiamme, strazio e macerie. Dopo trent’anni, forse, qualcuno l’avrà pure dimenticata. Ma Antonio Vullo, che c’era dentro, non scorderà mai l’ultima sigaretta e gli ultimi istanti. La chiacchierata con lui è del 18 luglio, ma la pubblichiamo ora, come un invito a non dimenticare mai, a non appoggiarci soltanto al calendario. Toni non dimenticherà mai l’ultimo sguardo di Paolo Borsellino che, come ogni anno, ricomincia a vivere nella memoria di un giorno solo, per tornare a dormire, quando, come adesso, scende la sera di ogni diciannove luglio. (Roberto Puglisi)


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI