Ma a cosa serve l'Ars? - Live Sicilia

Ma a cosa serve l’Ars?

L'Aula di Sala d'Ercole, dal 2 maggio al 9 giugno si sarà riunita due volte. E nello stesso arco di tempo sarà costata 16 milioni ai siciliani. Tra banchi vuoti e riforme mancate, il ritratto di un parlamento costoso e sempre più inutile.

Il commento
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PALERMO- Per l’ultima seduta, il 19 maggio scorso, in Aula non c’era quasi nessuno. Mancava forse persino il quorum per la briscola in cinque. Tanto che il vicepresidente Antonio Venturino, dopo aver ascoltato l’assessore ai Beni culturali Antonino Purpura, ha dato il rompete le righe, “considerando la scarsa presenza in aula”. Arrivederci e grazie, l’Aula di Sala d’Ercole, quella del famoso o famigerato Parlamento più antico del mondo, nonché del consiglio regionale più affollato d’Italia, tornerà a riunirsi nientemeno che il 9 giugno, dopo le amministrative. E chi s’è visto s’è visto.

Nel mese di maggio, l’Aula dell’Ars si è riunita due volte. Tre volendo contare la seduta del primo maggio, che era in realtà quella incominciata il giorno prima e proseguita tutta la notte per approvare quella finanziaria, tanto ponderata da rendere necessaria a tempo di record la presentazione di un disegno di legge del governo per correggere un errore marchiano proprio su una delle norme chiave. Dopo l’estenuante nottata, gli scranni di Sala d’Ercole hanno rivisto le onorevoli terga dei deputati solo in due occasioni: il 12 maggio pomeriggio, per un’oretta circa, e appunto il 19, con i banchi deserti, per qualche ora di interrogazioni e interpellanze sui Beni culturali. Considerato che il bilancio interno dell’Assemblea da poco approvato prevede un costo annuo di 158 milioni di euro, questo operosissimo mese di maggio è costato alle tasche dei siciliani più di tredici milioni. Più di sedici se aggiungiamo l’altra settimana di vacanza post-elettorale a inizio giugno.

L’obiezione è nota: i deputati non vanno solo in Aula, ci sono anche le commissioni. Dove in effetti si svolge, o si dovrebbe svolgere un lavoro propedeutico all’attività d’Aula. Quelle commissioni dove spesso e volentieri i disegni di legge si impantano all’infinito. Quello sull’acqua, ad esempio, balla tra mille piroette ormai da due anni. Quelle commissioni dove gli assessori regionali, invitati, spesso e volentieri non si presentano, come è accaduto solo un paio di giorni fa per l’audizione relativa al caso Italkali. Non solo gli assessori, anche i deputati stessi in commissione collezionano assenze. “Durante queste riunioni mai tutti i deputati sono stati presenti. Spesso non riusciamo nemmeno ad arrivare al numero legale. Spesso le audizioni le facciamo in sei componenti su quindici! Percepiscono circa 14 mila euro al mese ed hanno il coraggio di assentarsi”, denunciava un paio d’anni fa a un quotidiano on line l’unico presidente di commissione grillino, Giampiero Trizzino.

Ma allora a cosa serve questa Ars? Nel 2014 sostanzialmente l’Assemblea non fece altro che votare finanziarie, ben tre, e poco, pochissimo altro. Quest’anno qualche legge è andata in porto, ma poca roba. Le grandi riforme, quelle sbandierate ai quattro venti, attendono. All’infinito. A partire da quella delle ex Province, sulla quale l’Ars era stata più veloce del Parlamento nazionale. Abolite ormai quasi due anni fa, miracolosamente restano lì, commissariate a oltranza. Procede la sua gestazione infinita anche la sopra citata legge sull’acqua, di una grande riforma dei rifiuti si parla e basta, l’imponente legge sulle attività produttive dopo un lungo lavoro in commissione ancora non vede la luce. Insomma, non si cava un ragno dal buco. Per colpa di chi, questo è un poco appassionante argomento di dibattito tutto interno alla politica. L’Assemblea ha più volte accusato il governo di non fare la sua parte: assenze in Aula, ritardi nella presentazione dei documenti contabili, note tecniche assenti o carenti. Il governo a sua volta ha parlato con l’assessore Baccei di “tempi da caffè” dei deputati. Di certo c’è solo che l’Ars costa. Un patrimonio. Ben 158 milioni (con un risparmio dell’uno e rotti per cento rispetto all’anno precedente), molto più degli altri consigli, perché – unico consiglio regionale in Italia – vede gravare sul proprio bilancio i dorati vitalizi dei suoi ex deputati (e dei loro fortunati congiunti, in tutto 19 milioni e mezzo) e le munifiche pensioni dei suoi dipendenti. Per diminuire il costo dei loro stipendi l’anno scorso si introdusse un tetto massimo (prima il segretario generale arrivava a costare più di mezzo miliardo all’anno). Ma la “stretta” contemplò un piccolo dettaglio, quello di permettere ai grand commis di Palazzo dei Normanni di ritirarsi con una pensione commisurata ai vecchi, pesantissimi assegni. Risultato? Un aggravio nel 2015 delle spese previdenziali per gli ex dipendenti di oltre otto milioni.

Chi ci ha rimesso qualcosa, in effetti, sono stati gli onorevoli. Dopo i tagli varati in questa legislatura, guadagnano un po’ meno di prima, ma gli ottomila e passa euro netti al mese di un deputato semplice, alla luce ad esempio del minutaggio del lavoro mensile di maggio, non sono poi così male. Anche perché tanti arrotondano la cifra con le indennità aggiuntive che si versano a presidenti, vice e segretari di commissione, membri dell’ufficio di presidenza, e pure ai dodici capigruppo. Anche se il gruppo che presiedono può spostarsi comodamente in sidecar, come il Megafono o la Lista Musumeci con i loro tre deputati.

Già, i gruppi parlamentari. Fotografia emblematica dell’unico esercizio in cui i consiglieri regionali, pardon deputati, siciliani danno prova di iperattività: il cambio di casacca. Se ne sono contati ormai una settantina in mezza legislatura, un deputato su due è iscritto a un gruppo diverso rispetto a quello in cui è stato eletto. Un trasformismo che ha superato ogni limite di decenza e che rimane uno dei pochi segni di movimento nel Palazzo dell’immobilismo. Una camera grassa, lenta e sovraffollata, con novanta inquilini che dalla prossima legislatura diventeranno settanta. Un taglio presentato con squilli di tromba come massimo sacrificio. Peccato che se ci si fosse dovuti attenere ai parametri vigenti per le regioni a statuto ordinario, i seggi sarebbero dovuti diventare cinquanta. Che disastro per la democrazia sarebbe stato…

 


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