CATANIA – Nella primavera del 2022 tra i Cursoti milanesi stava per scoppiare una guerra. Le armi sparavano, i pestaggi scatenavano la spirale delle reazioni e a un certo punto un gruppo di membri del clan è costretto a nascondersi in un hotel di Acireale. Dalle carte del blitz “Cerbero”, che venerdì 27 giugno ha portato in carcere 21 persone, emerge la storia dei contrasti tra due fazioni all’interno dei Cursoti milanesi. In cui per poco non si è arrivati all’omicidio, come in una guerra di mafia vecchio stile.
La successione
Fino all’agosto del 2020 il leader dei Cursoti milanesi è stato Carmelo Distefano, fratello di Francesco. Dalla sua scarcerazione nel 2018 Distefano ha accentrato su di sé le attività del clan nella sua zona di influenza, quella compresa tra corso Indipendenza e viale Rapisardi, con propaggini anche a Librino. Traffico di droga, estorsioni. Distefano si prende il ruolo di leader anche per l’assenza degli altri capi storici dei Cursoti milanesi, tutti in carcere: Rosario Pitarà, Giovanni Natale, lo stesso fratello di Distefano, Francesco.
Il boss resta libero fino all’agosto del 2020, quando ha un ruolo nella sparatoria di viale Grimaldi, a Librino, in cui un gruppo di fuoco dei Cursoti milanesi affrontò una colonna di motociclette del clan Cappello. In quella vicenda, su cui si è svolto un processo, morirono due persone.
Pochi mesi dopo muore in carcere Rosario Pitarà e Distefano dà la reggenza del clan a Giuseppe Agatino Ardizzone. Alzando così la tensione con altri due membri dei Cursoti milanesi, i fratelli Giuseppe e Alfio Cristian Licciardello, nipoti di Rosario Pitarà in quanto figli della sorella del boss morto. I due non accettano che alla guida del clan ci sia qualcuno che non fa parte della famiglia e reclamano un ruolo di comando. Scatenando la reazione di chi invece è stato messo in capo al gruppo.
La prima sparatoria
Entrano in scena i soldati. Il 24 marzo 2022 due persone che fanno riferimento al gruppo di Ardizzone, GIuseppe Piterà e Gabriele Strano, entrano nello stabile in cui Giuseppe Licciardello è agli arresti domiciliari e sparano dei colpi di pistola. Licciardello è ascoltato dalle forze dell’ordine insieme al padre e nega di sapere chi abbia sparato.
Il Gip cita come mandante della spedizione proprio Giuseppe Ardizzone, e spiega il motivo: Licciardello stava cercando di rendersi indipendente nella gestione di una piazza di spaccio per sganciarsi dal dovere di mantenere due zii in prigione, Gabriele Giuseppe Piterà e Concetto Piterà, i quali avevano deciso di aderire al gruppo di Distefano e di allontanarsi da quello che faceva riferimento proprio ai Licciardello. Concetto Piterà è il padre di Giuseppe, uno dei due uomini che hanno sparato all’appartamento di Giuseppe Licciardello.
Il pestaggio
Meno di un mese dopo la tensione tra le due fazioni è ai massimi livelli. Si svolge tutto in un giorno, il 19 aprile. Quel giorno Carmelo Tiralogno, descritto dal Gip come molto vicino ai fratelli Giuseppe e Alfio Cristian Licciardello, è aggredito dal gruppo di Ardizzone.
Le carte riportano un’ordinanza in cui lo stesso Ardizzone chiama una persona con precedenti per spaccio e gli dice “Abbiamo scassato a Mentina”, il soprannome di Tiralogno. La richiesta di Ardizzone è di allertare un’altra persona, perché dopo il pestaggio si aspetta che ci saranno reazioni da parte del gruppo dei Licciardello.
Tutto il gruppo è in allerta. Rosario Piterà utilizzando il telefono di Giuseppe Ardizzone contatta il cugino Concetto Piterà e gli chiede di non uscire di casa. Sono tutte persone che le indagini identificano come parte del gruppo di Ardizzone. Rosario Piterà dice al cugino: “Prima che scendi avvisami, ncagghiamu a Mentina”. Concetto Piterà risponde: “Ah sì? Sei un mostro”.
I contatti di Ardizzone nel frattempo lo tengono informato sulla situazione a San Berillo, dove la sorella di Tiralongo è vista urlare per strada e Alfio Cristian Licciardello, detto “Merluzzo”, gira in scooter per trovare gli aggressori. Nello stesso momento Ardizzone è con Gabriele Strano e Rosario Piterà, ascoltato dalle microspie dei Carabinieri. “Lui lo devi fare sbattere”, dice Ardizzone. Risponde Piterà: “Ora la cosa la possono sistemare se si leva di mezzo alla minchia”. Per il Gip, è il modo di Ardizzone per confermare la sua intenzione di voler estromettere dal gruppo i fratelli Licciardone.
I quali, nel frattempo, sono in fibrillazione. La fidanzata di Carmelo Tiralongo e quella di Alfio Cristian Licciardello sono intercettate mentre, in lacrime, dicono che i due sono appena usciti di casa. La paura era che ci fossero ancora azioni violente.

Gli spari al negozio
Poco dopo, uno scooter con a bordo due persone rallenta davanti al negozio di Francesco Strano, padre di Gabriele, e spara a fucilate verso lo stabile. È lo stesso Francesco a dirlo al figlio in una telefonata, dicendo anche chi ha sparato: “Vedi che mi ha sparato qua u Merluzzo”.
La situazione di tensione è tale che, scrive il Gip, temendo un’azione ancora più cruenta da parte dei Licciardello il gruppo composto da Giuseppe Ardizzone, Giuseppe Piterà, Rosario Piterà e Gabriele Strano si rifugia ad Acireale, in una struttura vicino all’autostrada che le forze dell’ordine riescono a individuare grazie alle telefonate fatte per prenotare le camere e poi con l’aggancio dei diversi cellulari ai ripetitori.

A confermare la fuga è anche il collaboratore di giustizia Sebastiano Sciuto, che conferma di avere fornito aiuto al gruppo di Ardizzone a nascondersi “dopo un conflitto a fuoco a Librino”.
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