Mafia, è morto Alfio Laudani: boss della 'guerra' - LiveSicilia

Mafia, è morto Alfio Laudani: boss della ‘guerra’

È deceduto in carcere qualche giorno fa. Stava scontando l'ergastolo.

CATANIA – Alfio Laudani è morto. Il mafioso catanese, ergastolano, è deceduto al carcere di Opera a Milano diversi giorni fa. Aveva 76 anni. Il boss dei ‘Mussi i ficuirinia’ ha dato l’ordine per decine di omicidi. Alcuni rivelati dai pentiti, altri dalle inchieste giudiziarie, altri rimasti irrisolti. Protagonista della guerra cruenta con i Cappello a cavallo tra gli anni 80 e ‘90. I suoi fratelli, Gaetano e Santo, sono stati ammazzati. È stato uno dei perni della strategia del sangue dei Laudani. Non solo mafiosi ma anche imprenditori sono stati bersaglio della lupara dei ‘Mussi”. Delitti che hanno anche aperto ferite, forse mai cicatrizzate, al palazzo di giustizia catanese. 

Una stirpe creata da Iano Laudani, morto nel 2017 all’età di 91 anni. Il questore, vista la caratura criminale, dispose i funerali privati per il patriarca mafioso. Una famiglia mafiosa che ha creato la sua roccaforte a Canalicchio, lì dove il 22 agosto 1990 è stato ammazzato il fratello di Alfio, Santo.  Un commando armato è entrato in azione in via Ferro Fabiani all’interno di una macelleria e lo hanno ammazzato assieme a Sergio Petralia. Questa uccisone non è mai stata perdonata. Mai. 

Poi la famiglia mafiosa ha conquistato l’hinterland etneo. Squadre direttamente collegate al nome dei Mussi i ficurinia (nomignolo creato dal viso poco delicato di una donna della famiglia) o alleati. Ma comunque da Catania alle falde dell’Etna, l’impero mafioso dei Laudani si è radicato in questi ultimi decenni. Un clan capace di infiltrarsi nel tessuto economico, di farsi varco nei gangli delle Istituzioni e della giustizia. Una cosca mafiosa capace di sedersi anche accanto ai vertici di Cosa nostra catanese, come dimostrato nel blitz Summit: i carabinieri fecero irruzione in una villetta a Belpasso dove Santo La Causa aveva convocato i boss della cupola. E tra questi c’era Sebastiano Laudani u nicu, figlio del fratello di Alfio e nipote del patriarca. Nel 2016, il blitz Vicerè – ora arrivato alla sentenza della Cassazione – ha coinvolto oltre 100 indagati. E c’erano anche esponenti delle forze dell’ordine e del diritto.

Il nome di Alfio Laudani, l’ultimo rampollo morto i primi del mese nel carcere milanese, tornò alla ribalta quando è diventato collaboratore di giustizia Giuseppe Di Giacomo, il mandante dell’omicidio dell’avvocato Serafino Famà. Il pentito rivelò alla magistratura altri delitti che portavano la firma del boss catanese, ormai deceduto. 


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