Mafia, guerra e omicidi eccellenti Quel killer tornato in carcere LiveSicilia.it

Mafia, guerra e omicidi eccellenti|Quel killer tornato in carcere

Dietro il curriculum criminale di Agatino Foti si nasconde un passato di piombo e sangue.
LA FAIDA DEGLI ANNI 90
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CATANIA – Sono lontani i tempi in cui Catania era una polveriera fumante. Eppure l’eco degli spari rimbomba ancora tra comunicati, notizie e blitz della Dda etnea. La storia criminale degli anni ’90 diventa protagonista della cronaca giudiziaria attraverso alcuni nomi che hanno riempito di piombo le strade di Catania. Trasformandola, in alcuni momenti, in quella Chicago degli anni ’20 dove si consumava la guerra tra gangster. 

Uno di quei nomi è Agatino Foti, killer del clan Cappello-Pillera, che da qualche giorno è tornato in carcere dopo un differimento pena concesso dal Magistrato di Sorveglianza per motivi di salute in piena emergenza Covid-19. Era finito anche nella ormai famosa lista dei 376 scarcerati. E come molti di quei nomi, appena è scattata la fase 2, è tornato in gattabuia. L’ergastolano ha un curriculum criminale lunghissimo: condanne per omicidio, mafia, armi, rapina e furto. Ha sparato e ucciso negli anni dello scontro a fuoco tra i Cappello (affiancati dai Piacenti) e gli Sciuto alleati con i Laudani.

Una faida scoppiata per il rancore di Pippo Sciuto (Tigna) nei confronti di Turi Cappello, finito in questi giorni nelle colonne dei giornali per la lettera inviata dal 41bis a Sergio Mattarella. I due nemici erano tra i fidatissimi del capomafia Turi Pillera ‘cachiti’, che quando fu arrestato negli anni 80 scelse come ‘erede’ Salvatore Cappello, da qui il nome del clan Cappello-Pillera. Giuseppe Sciuto (Tigna) – ucciso in un agguato alla fine del 1992 – essendo più anziano non accettò la decisione di Pillera e dichiarò guerra a Cappello e a tutti coloro che avevano ‘avallato’ la decisione di eleggerlo come ‘capo’. La guerra fu cruenta. E ci furono omicidi eccellenti: in uno di questi vi fu la mano di Agatino Foti. 

Quella del 1990 fu un estate di fuoco: il 22 agosto un commando armato entrò in azione in via Ferro Fabiani all’interno di una macelleria. Santo Laudani, figlio del capomafia dei “Mussi ‘i ficurinia“, fu crivellato di colpi insieme a Sergio Petralia. In quell’agguato rimase ferito anche Giovanni Coppola. Questa uccisone non è mai stata perdonata. Mai. È stato forse il dolore più grande che Sebastiano Laudani, il patriarca del clan mafioso (morto a 91 anni nel 2017), si è portato sulla tomba. Quello insieme al colpo al cuore che gli è stato inferto  dal nipote prediletto Giuseppe, figlio di Gaetano Laudani (anche lui ammazzato), quando ha deciso di diventare collaboratore di giustizia. 

Non ci fu solo Foti in quel commando armato che agì in via Ferro Fabiani. Ma anche Mario Pace, tornato negli ultimi anni sotto i riflettori dei cronisti di giudiziaria per alcune indagini su droga e mafia. In particolare è tra gli imputati chiave del processo ‘Isola Bella’, un’inchiesta che ha scoperchiato gli affari criminali legati al controllo di alcune attività turistiche a Taormina. Pace fu uno dei più vicini a Turi Cappello, anzi per la verità il vero delfino fu il fratello Nino, ammazzato in una sala da barba a Canalicchio. Un altro delitto di quella mattanza. 

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