Evasione fiscale: arrestato Massimo Ciancimino - Live Sicilia

Evasione fiscale: arrestato Massimo Ciancimino

Massimo Ciancimino

DI RICCARDO LO VERSO. Il figlio di don Vito è stato arrestato su ordine del gip di Bologna. Storie di paradisi fiscali e di presunte evasioni sono alla base dell'ordinanza che ha condotto dietro le sbarre del Pagliarelli, Ciancimino jr. I suoi avvocati protestano: "Provvedimenti ad orologeria". Le carte dell'accusa.

Su ordine del gip di Bologna
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PALERMO- Cal Est 53, Città di Panama, frazione di Marbella. In un ufficio al secondo piano della Torre Swiss Bank si sarebbero concentrati gli interessi commerciali e finanziari di Massimo Ciancimino. Dall’Italia verso un paradiso fiscale per non pagare le tasse. Secondo la Procura di Bologna, ci sarebbe la regia del figlio di don Vito dietro una sfilza di società trasferite oltreoceano per sfuggire al Fisco.

Un vorticoso giro di affari legati alle importazioni di acciaio e metalli ferrosi. Milioni di euro di tasse mai versate. Un intreccio tra affaristi e teste di legno. C’è tutto questo dentro il complicatissimo meccanismo finanziario organizzato, dicono i pubblici ministeri bolognesi, da Ciancimino jr. Il testimone chiave della trattativa Stato-mafia è finito di nuovo in carcere. Sarebbe il perno di una banda composte da 38 persone. Dopo le questioni legate al riciclaggio del tesoro del padre, dopo le calunnie all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, dopo i candelotti di dinamite trovati nel giardino di casa sua, a Palermo, adesso gli vengono contestati i reati di associazione per delinquere, evasione fiscale e truffa ai danni dello Stato. Il giudice per le indagini preliminari non ha ritenuto sussistente l’aggravante di avare favorito la ‘ndrangheta calabrese. Un’aggravante che si basava su alcune telefonate registrate fra Ciancimino jr e Girolamo Strangi, considerato legato al clan Piromalli di Gioia Tauro. Parlavano di affari e soldi ma, sostiene il Gip, non c’è prova di contatti illeciti con le cosche calabresi.

Adesso Massimo Ciancimino si trova rinchiuso nel carcere palermitano di Pagliarelli. I suoi legali, gli avvocati Francesca Russo e Roberto D’Agostino tuonano: “Siamo di fronte all’ennesimo episodio di giustizia ad orologeria che colpisce il nostro assistito. Ci siamo abituati, ma restiamo ancora una volta stupiti”. Il riferimento è all’apertura, tre giorni fa, del processo sulla trattativa Stato-mafia in cui Ciancimino ha il doppio ruolo di imputato e testimone fondamentale per l’accusa.

Secondo gli investigatori bolognesi, il figlio dell’ex sindaco mafioso di Palermo sarebbe amministratore di fatto di una sfilza di società: Tecno Comm di Milano, Top Tre, Fenice ed Erreelle (tutte con sede a Reggio Emilia), Bpt 2000 di Lendinara (Rovigo). Ed ancora: Emilsteel, Magior Steel, Copral, Falsgrave LTD, Incopex, Sidexim, Steel Corporation, General Distribuzione Merci, Socomet. Tutte società la cui sede è stata trasferita dalle città di Milano, Roma, Viareggio, Firenze e Modena nell’ufficio panamense. Risultato: al Fisco non sarebbe stato versato un solo euro dei dieci milione di Iva che Ciancimino e soci avrebbero dovuto pagare sulla base del loro milionario giro di affari.

Lo schema illecito, che la Procura avrebbe smascherato, è piuttosto complicato, ma può essere così riassunto. Massimo Ciancimino, con la collaborazione del suo braccio destro Paolo Signifredi, e grazie alla compiacenza degli altri indagati, avrebbe costituito una serie di società di comodo che venivano qualificate come “esportatori abituali”. Gli esportatori abituali sono sgravati dal pagamento dell’Iva presentando una “dichiarazione di intenti” in cui viene dichiarato che l’acciaio e gli altri metalli ferrosi sono destinati a compratori residenti in paesi non comunitari. Le dichiarazioni di intenti, nel caso delle società riconducibili a Ciancimino jr, sarebbero state artefatte e il metallo in realtà venduto nel mercato nazionale. Le società di comodo, per evitare di finire nel mirino dei finanzieri, operavano contemporaneamente su più città e nel giro di pochi mesi sparivano nel nulla. La finanza è riuscita ugualmente a scovarli grazie alle intercettazioni telefoniche e alle dichiarazioni. Alcune messe a verbale, altre giunte da fonti riservate. Come quella raccolta da un maresciallo di Ferrara.

Eccola: “Massimo Ciancimino, attualmente domiciliato a Bologna (era il 2010), starebbe riciclando denaro di cui sembra abbia notevole disponibilità. Sarebbe coadiuvato da Paolo Signifredi, pregiudicato di Parma. Ciancimino controllerebbe tramite un uomo di fiducia di nome Stefano una società in Romania deputata al commercio di acciaio e materiale ferroso che sarebbe rivenduto a società italiane, alcune delle quali controllate da Massimo Ciancimino tramite persone di fiducia, concretizzando elevati guadagni ed evadendo il fisco. Recentemente Signifredi, in accordo con Ciancimino e per dare parvenza di legalità all’operazione, avrebbe fatto effettuare da una società controllata un bonifico di diciassette mila euro a favore di Ciancimino”.

Il Gip ha applicato la misura cautelare (fra carcere e arresti domiciliari) nei confrionti di Ciancimino e di altri dodici dei trentotto indagati per il rischio di inquinamento probatorio e la possibile reiterazione dei reati, mentre ha respinto l’ipotesi del pericolo di fuga. L’organizzazione, secondo il giudice, avrebbe protratto nel tempo le condotte illecite che vengono oggi contestate, dimostrando anche la capacità di occultare le prove. Non bastano, invece, la disponibilità di immobili e soldi all’estero per ipotizzare l’intenzione degli indagati di darsi alla fuga.



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