Dai tombaroli ai boss della mafia| Il business dei furti d'arte - Live Sicilia

Dai tombaroli ai boss della mafia| Il business dei furti d’arte

La Natività di Caravaggio (nella foto) è il pezzo forte della galleria delle opere trafugate.

PALERMO – L’ultimo caso di cronaca è di pochi giorni fa. Un attento studioso tedesco si è accorto che in Germania era stato esposto un prezioso vaso greco rubato vent’anni fa in un magazzino del museo Salinas di Palermo. Per fortuna negli ultimi anni il museo archeologico palermitano è stato interessato da una profonda ristrutturazione e ora può garantire al meglio, come sottolinea la direttrice Francesca Spatafora, non solo la valorizzazione, ma anche la custodia degli oggetti. I controlli, grazie all’aiuto della tecnologia, oggi sono rigidissimi: “La tutela del patrimonio è il nostro compito primario”, dice Spatafora.

Il viaggio dalla Sicilia alla Germania, dove la lekytos era esposta ad una mostra, è un tema che dovranno chiarire i carabinieri che, per la verità, hanno l’arduo compito di risolvere il mistero dei misteri. E cioè la sparizione in un giorno di quasi cinquant’anni fa della “Natività con i santi Lorenzo e Francesco” dipinta da Caravaggio e rubata nel 1969 all’oratorio di San Lorenzo a Palermo. Ci sono i padrini della vecchia mafia dietro il furto della tela e la Procura di Palermo ha di recente riaperto le indagini.

L’elenco delle opere rubate e mai ritrovate è ingrossato dalle tele di Pietro Novelli: “San Michele combatte Satana”, trafugata a Palermo due mesi prima della Natività, nell’ agosto del 1969, e un “Cristo benedicente” rubato nel febbraio 1994 in  un’abitazione privata. Nel 1982 scomparve un dipinto su vetro raffigurante la “Fuga in Egitto”. Ed ancora, la “Madonna del Riposo” rubata nel  92 alla Curia di Santa Lucia del Mela, mentre nel 1988 è sparita dalla chiesa di San Domenico a Rometta una “Madonna con Bambino, San Giuseppe, San Michele e Sant’Antonio da Padova”. Ed ancora vasi, sculture e monete trafugate a Termini Imerese, Morgantina, Gela e Centuripe.

Quando si parla di furti d’arte vengono la realtà supera la fantasia. Qualche anno fa i carabinieri del Nucleo tutela patrimonio recuperarono un fonte battesimale. Lo scovarono a Forte dei Marmi. Era stato portato via nel 1989 dalla chiesa Santa Maria La Nova, a Palermo, e faceva bella mostra in una lussuosa villa in Versilia di proprietà di un facoltoso imprenditore milanese. È lecito chiedersi come si possa entrare in una chiesa riuscendo a portare via un’opera marmorea che pesa più di mille chili senza che nessuno abbia visto o sentito qualcosa.

Il silenzio, a volte, è connivente. Specie quando c’è di mezzo Cosa nostra, visto che i mafiosi hanno sempre avuto il pallino dell’arte. È siciliano colui che viene considerato il più grande intermediario del traffico illecito. Giovanni Franco Becchina, che tutti chiamano Gianfranco, oggi ottantenne, è il protagonista di una storia che parte da Castelvetrano e fa il giro del mondo. L’ultima tappa – Basilea – era stata scoperta dai carabinieri che alcuni anni fa restituirono allo Stato più di cinquemila reperti archeologici trafugati con scavi clandestini in Sicilia, Puglia, Sardegna e Calabria. In alcuni magazzini a Basilea, in Svizzera, c’erano anfore, crateri, loutrophoros, oinochoe, kantharos, trozzelle, vasi plastici, statue votive, affreschi, corazze in bronzo, per un valore complessivo che supera i 50 milioni di euro. L’indagine ebbe inizio a margine dell’inchiesta che portò al recupero del famoso vaso di Assteas dal Getty Museum di Malibù. Nel 2001 Becchina finì pure in carcere per furto, ricettazione ed esportazione clandestina mentre sua moglie, anche lei accusata di essere sua complice, finiva in manette in Svizzera. Lo Stato non è riuscito, però, a processarlo in tempo e i reati sono andati prescritti. L’anno scorso gli hanno sequestrato i beni.

La passione per le opere d’arte nacque in lui quando conobbe la moglie, di origine tedesca, che lavorava nella bottega svizzera di un antiquario. Pochi anni dopo era già il riferimento di grandi collezionisti e dei più prestigiosi musei del mondo. All’inizio degli anni Ottanta rifilò per venti miliardi di vecchie lire al Getty Museum di Malibù una statua di dubbia provenienza. E sempre al Getty della città californiana piazzò il cratere di Assteas. L’ha sempre fatta franca, nonostante le ricostruzioni giudiziarie che lo accostavano alla potentissima famiglia mafiosa dei Messina Denaro. Fu Francesco Messina Denaro, il padre del latitante, ad organizzare il furto dell’Efebo di Selinunte, nel 1962. La piccola statua greca sparì dalla scrivania del sindaco di Castelvetrano. I ladri cercarono di piazzarla in America e Svizzera. Poi chiesero, senza ottenere neppure una lira, un riscatto di 30 milioni al Comune trapanese. Infine, il 14 marzo del 1968, l’Efebo fu recuperato dalla polizia a Foligno, in Umbria.

Un pentito di mafia, Concetto Mariano, un ex vigile urbano nel libro paga del clan di Marsala, raccontò dell’incredibile piano ordito dal padrino latitante per rubare il “Satiro danzante” ripescato nel mare di Mazara del Vallo. Lo voleva rivendere, a suon di milioni, ad un collezionista straniero. Qualcuno, alla fine, si tirò indietro.

 


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