Mafia, gli eroi dimenticati che sconfissero i quaquaraquà

Mafia, gli eroi dimenticati che sconfissero i quaquaraquà

Una stirpe di grandi siciliani. In qualche caso dimenticati.

Noi siciliani quel passo di Leonardo Sciascia lo conosciamo a memoria. Come tutti gli italiani (siciliani compresi) che sanno declamare: “Zoffgentilecabrini…”. Eccolo: “Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà. Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, ché mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini. E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi. E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito. E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, ché la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre”.

Ed è un felice contrappasso che la filosofia di vita di don Mariano Arena, l’immaginifico e verosimile estensore di quel decreto, si sia negli anni capovolta. Se diciamo ‘uomini’, infatti, non pensiamo più alla coppola e alla lupara, alla perfidia dell’onore mafiosamente inteso. Pensiamo ai dottori Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Pensiamo al presidente Alfonso Giordano che guidò il maxi-processo da quel galantuomo valoroso che era e che lascia, nell’ora della sua morte, un profondo rimpianto.

Era un uomo schivo, il presidente Giordano, perché apparteneva al passato e lo scriviamo con l’intenzione di sottolineare la sua nobiltà d’animo. E’ stato il protagonista di un tempo in cui alle persone perbene bastava la certezza di avere compiuto il proprio dovere: fosse quello di innaffiare un giardino o di rischiare la propria vita. Non si avvolgeva in iperboli, non glorificava se stesso, non aveva memorie da vendere, ma una memoria da conservare come un dono per tutti. Alfonso Giordano, come tanti, era, in fondo, un eroe dimenticato.

La santa memoria dei siciliani (e non solo dei siciliani) è nella direzione amorevole della venerazione dei morti per la giustizia e i dottori Falcone e Borsellino, con una folla tragica di morti ammazzati perché volevano una bella rivoluzione, ne sono un eterno compimento in amore e gratitudine. Oggi è il giorno di Paolo Borsellino e di via D’Amelio: a quell’eroe mite ci inchiniamo, come per Giovanni Falcone. Ma la nostra memoria, talvolta, ha lasciato fuori i vivi. Come se il fatto di essere sopravvissuti li avesse resi un po’ meno eroi.

Senza malanimo, per dovere di cronaca, riprendiamo un’osservazione del presidente Giordano di quattro anni fa: “Sono assai dispiaciuto di non aver potuto partecipare, nella mia città, alle corali manifestazioni per la ricorrenza dell’anniversario della morte di Giovanni Falcone, collega che ho sempre stimato ed apprezzato”.  E sarà stato sicuramente un equivoco in buonafede e presto composto tra gente perbene che stava dalla stessa parte. Tuttavia, rafforza, a prescindere, quell’impressione di dimenticanza.

E allora non dimentichiamoci di onorare Alfonso Giordano, magistrato e galantuomo, per il fatto di essere stato meravigliosamente vivo e di avere servito il suo Paese. Per avere militato nella schiera degli uomini che sconfisse, con quel maxi-processo, i quaquaraquà mafiosi. E vogliamo ricordare un altro soldato generoso di quel tempo, recentemente scomparso: Vincenzo Mineo, direttore dell’aula bunker. Pure lui era un gigante dal sorriso umile. Un giorno condensò quell’epoca in una narrazione indimenticabile: “Ho visto il dottore Borsellino davanti al corpo del dottore Falcone”.


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