"Erano armati fino ai denti"| I clan mafiosi pronti alla guerra - Live Sicilia

“Erano armati fino ai denti”| I clan mafiosi pronti alla guerra

Gli uomini dei clan di Brancaccio e Porta Nuova erano in fibrillazione. Il mensile S in edicola (acquistabile qui) ricostruisce la stagione dei contrasti così come è stata raccontata dal nuovo pentito Antonio Zarcone, boss di Bagheria.

MAFIA DI PALERMO
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PALERMO – “Erano armati fino ai denti”. Pronti a fare fuoco se necessario. Gli uomini dei clan di Brancaccio e Porta Nuova erano in fibrillazione. Su Palermo soffiavano venti di guerra.

Il mensile S in edicola ricostruisce la stagione dei contrasti così come è stata raccontata dal nuovo pentito Antonio Zarcone, boss di Bagheria incaricato di gestire i rapporti con i mafiosi di Palermo. “… si dovevano chiarire ma non si sono chiariti…”, ha messo a verbale l’aspirante collaboratore di giustizia. La difficile e fallimentare mediazione sarebbe stata tentata da un pezzo da novanta della mafia palermitana. E cioè Giulio Caporrimo, reggente del mandamento di San Lorenzo.

L’incontro a cui i picciotti si presentarono armati è del 2011. Le indagini della direzione distrettuale antimafia si proiettano, però, fino al 2013, anno dell’omicidio di Francesco Nangano, uomo di Brancaccio ma anche molto vicino al clan di Porta Nuova. Ed è a Brancaccio, in via Messina Marine, che Nangano fu crivellato di colpi appena uscito da una macelleria. Zarcone ha riferito che quel giorno nella zona del summit fu avvertito anche Nangano. E qualcuno, a Brancaccio, si era convinto che fosse intervenuto in appoggio degli uomini di Porta Nuova.

C’è un legame fra questo episodio e la sua morte? È presto per dirlo. Per il momento magistrati e carabinieri si concentrano sulle dichiarazioni di Zarcone. Dalle quali emergono, in particolare, due figure. Daniele Lauria a Porta Nuova e Nino Sacco a Brancaccio. “… quando è uscito Nino Sacco, ci sono stati grossi problemi su Palermo”, ha detto il neo pentito. Sono dichiarazioni che impongono nuove riflessioni sui delitti commessi a Palermo negli ultimi anni.

Nel 2011 in via Bagnera, a Belmonte Chiavelli, i killer scaricarono addosso a Giuseppe Calascibetta un caricatore di pistola calibro 7,65. Due colpi lo raggiunsero all’orecchio. Uno al cranio. Scarcerato nel 2007 si era ripreso il posto di capo del mandamento di Santa Maria del Gesù. Ed era tornato ad imporre il pagamento del pizzo. Pochi giorni dopo la sua morte un costruttore diceva “… lui è stato quello che si è fottuto duecento ventimila euro per viale Regione… lo vedi come se li sta godendo… nella cassa”. Calascibetta aveva preteso soldi in contanti e un appartamento in un palazzo di nuova costruzione.

Un delitto, quello di Peppuccio Calascibetta, avvenuto nel quartiere della vittima. Un segnale forte, proprio come nel caso di Nangano, ucciso in via Messina Marine a pochi passi dalla concessionaria di macchine che gestiva. A marzo 2014 il terzo delitto. Giuseppe Di Giacomo venne assassinato alla Zisa, mandamento di Porta Nuova. Un anno prima, il 5 aprile 2013, era stato intercettato mentre parlava a colloquio con il fratello ergastolano Giovanni. Una frase tirava in ballo l’omicidio di via Messina Marine: “Ma Nangano… Nangano, ma Nangano… Nangano”, insisteva l’ergastolano ripetendo il nome del mafioso crivellato di colpi. E Giuseppe, anche lui sarebbe morto ammazzato un anno dopo, rispondeva con un categorico “… che?… a posto … a posto Giovà”. Cosa significava “a posto”? Zarcone potrebbe avere la risposta a questa come ad altre domande. Il verbale che S pubblica in esclusiva ne è la conferma.


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