"La grande alleanza": mafia e potere, chi sono i siciliani a Milano

“La grande alleanza”: mafia e potere, chi sono i siciliani a Milano

Una mangiata ripresa dai carabinieri
Palermitani, trapanesi, gelesi e catanesi. Il gip però piccona l'accusa

PALERMO – Lo fotografia investigativa resta agli atti. Nonostante il giudice per le indagini preliminari di Milano abbia picconato la ricostruzione della Procura della Repubblica – 11 arresti a fronte dei 154 richiesti -, le indagini raggiungono un livello finora sconosciuto. In Lombardia la mafia della punciuta fa parte del passato. Cosa Nostra guarda avanti. E avanti ci sono i soldi. Come i 223 milioni di euro sequestrati perché considerati profitto di operazioni finanziarie illecite.

Quello descritto dai carabinieri del Comando provinciale è un consorzio di mafie. Cosa Nostra, ‘ndrangheta e Camorra stringono un patto di ferro per gestire affari. Gli accordi fra le mafie sono antichi, nuova è la visione che li accomuna. I boss hanno fatto il grande salto. Calabresi, siciliani e romani farebbero parte di “un sistema di tipo confederativo”. I soldi finiscono in un’unica “bacinella”. Il giudice per le indagini preliminari sostiene, però, che non ci siano le prove per affermarlo. Pubblici ministeri e investigatori sono convinti del contrario. La dialettica è forte – qualcuno a Milano sussurra la parola “scontro” fra pm e gip -, in ogni caso sarà difficile tornare indietro nell’analisi del fenomeno mafioso.

I palermitani

Dei mafiosi che avrebbero fatto parte della grande alleanza i magistrati milanesi fanno i nomi. Sono rimasti tutti indagati a piedi libero dopo la scure del gip. Ci sono i palermitani Giuseppe “Ninni” e Stefano Fidanzati (in passato condannato per mafia), figlio e fratello del superboss dell’Arenella Gaetano, morto undici anni fa, che a Milano ha costruito una fortuna. Del gruppo Fidanzati farebbero parte Aurelio D’Alia, Antonino Galioto, Piero Mannino e Serafino Seidita.

I trapanesi

Ci sono i trapanesi Paolo Errante Parrino (in passato condannato per avere fatto parte della famiglia mafiosa di Castelvetrano), Giovanni e Rosario Abilone; l’avvocato Antonio Messina, massone e già condannato per droga; Diego Cislaghi; Bernardo, Michele e Domenico Pace, i cui nomi rimanderebbero al mandamento di Castelvetrano e a colui che è stato il capo dell’intera mafia trapanese, Matteo Messina Denaro. Agli atti dell’inchiesta ci sono le ricostruzioni di importanti incontri in Sicilia. Alcuni avvenuti a Campobello di Mazara, poco distante dall’ultimo covo di Matteo Messina Denaro.

Gelesi e catanesi

Ci sono i Rinzivillo di Gela rappresentati da Dario Nicastro e Rosario Bonvissuto (entrambi con condanne alle spalle). A rappresentare a Milano la famiglia catanese dei Mazzei ci sarebbero William Alfonso Cerbo (soprannominato Scarface), e Gaetano Cantarella (tanu u curtu). Quest’ultimo sceso a Catania il 3 febbraio 2020, dopo aver incontrato Gioacchino Amico, è scomparso . Il suo sarebbe un caso di lupara bianca.

I carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale hanno ricostruito un reticolo di società nei settori più disparati: dall’edilizia ai servizi. I siciliani avrebbero fatto affari con la ‘ndrina di Legnano – Lonate Pozzolo, la cosca Iamonte, i Romeo e con il clan camorristico dei Senese. Una mafia che non fa rumore, soprattutto con le pistolettate, ma accumula denaro. “A Milano sono attive tutte le mafie tradizionali”, aveva detto il procuratore capo Marcello Viola in commissione parlamentare antimafia. Lui che la mafia siciliana l’ha vista nel suo habitat isolano, avendo lavorato a Palermo e Trapani.

Siciliani, calabresi e campani si sono dati appuntamento in studi di architettura, negozi di mobili, fabbriche, terreni agricoli, ristoranti, aziende. Secondo i pm, si è trattato di summit, a volte seduti attorno ad un tavolo. Un dettaglio, questo sì, che ricorda la mafia siciliana di un tempo.


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