PALERMO – Spunta il nome di Giuseppe Richichi, presidente dell’Associazione imprese autotrasportatori siciliani, nei verbali del neo collaboratore di giustizia Danilo Gravagna. Il pentito di Porta Nuova tira in ballo uno dei più agguerriti leader dei camionisti siciliani in una brutta storia di pizzo.
Sarebbe infatti Richichi, da sempre in trincea in difesa della categoria – per ultimo ha annunciato la serrata dopo il crollo del viadotto Himera lungo l’autostrada per Catania – l’uomo attraverso cui gli emissari dei boss avrebbero cercato “un contatto” con un autotrasportatore catanese a cui poi avrebbero chiesto “i soldi per i carcerati”. È stata una delle prime cose messe a verbale da Gravagna nel corso di un interrogatorio del 30 aprile scorso. Spetta ai carabinieri del Nucleo investigativo verificare l’attendibilità del suo racconto.
Ecco come Gravagna ricostruisce la vicenda davanti al pubblico ministero Francesca Mazzocco: “…. nel 2011 prima dell’arresto di Nicola Milano e Tommaso Di Giovanni… siamo andati a Bagheria nel corso principale in una gioielleria che ho saputo essere di proprietà di Zarcone (Antonino Zarcone, in carcere con l’accusa di essere stato il capomafia di Villabate ndr), abbiamo parlato perché dovevamo fare un furto presso una ditta di autotrasporti che posteggia a Bagheria nella statale 113, Di Martino è la ditta, lui è di Catania, però il parcheggio è di un certo Salamone di Bagheria… allora tramite Zarcone abbiamo avuto l’autorizzazione… c’era con noi Tonino, affiliato di Porta Nuova, che lo chiamavano Bambolina…. (il riferimento sarebbe ad Antonino Lo Iacono arrestato dai carabinieri in un blitz del 2011 ndr)”.
Nonostante il via libera di Zarcone, però – racconta Gravagna – “il furto non è stato fatto… in quanto cera stato un tentato furto e avevano preso più precauzioni…”. Il clan di Porta Nuova, che a detta del collaboratore controllava i trasporti all’interno del porto, non si sarebbe dato per vinto. Prima del furto i mafiosi avrebbero tentato di avvicinare l’imprenditore catanese, sulla scia del tradizionale repertorio di Cosa nostra. Ed è in questo contesto che sarebbe entrato in gioco Richichi: “ Di Martino lavorava al porto di Palermo, tramite il presidente dell’Aias di Catania Richichi, noi avevamo cercato il contatto con Di Martino per chiedergli se per Natale e per Pasqua, visto che lui lavorava molto con i semirimorchi al porto di Palermo, poteva dare qualcosa per le persone carcerate…”.
La risposta sarebbe stata negativa: “… tramite Richichi abbiamo saputo che non era… non gli aveva fatto sapere niente, lui glielo aveva fatto sapere e lui non aveva dato nessuna risposta, cioè questo significava che lui non voleva aderire a questa situazione, allora abbiamo pensato di colpirlo facendo questo furto”. Fallito il primo tentativo di furto per la presenza della polizia, il clan non si sarebbe dato per vinto: “Comunque poi lo abbiamo colpito lo stesso in un secondo tempo, perché abbiamo rubato de semirimorchi dentro il porto di Palermo, sempre della stessa ditta nel 2012”.