PALERMO – La mancata perquisizione del covo di Riina, subito dopo il suo arresto avvenuto il 15 gennaio 1993, fu chiesta dai vertici del Ros alla Procura di Palermo “allo scopo di permettere lo sviluppo di indagini coperte sui soggetti che assicuravano protezione al boss”.
Lo puntualizza in una nota l’ex procuratore di Palermo Giancarlo Caselli, replicando alle dichiarazioni del colonnello Sergio De Caprio, conosciuto con il nome in codice di “Capitano Ultimo”, l’ufficiale che arrestò Riina, che ieri aveva dichiarato all’ANSA che la decisione di non perquisire la villa “era stata presa dalla Procura, non certo dai carabinieri”.
“Segnalo che in un memoriale pubblicato dal quotidiano “Il Riformista” il 26 ottobre 2021, a firma del generale Mario Mori, comandante del Ros all’epoca dei fatti – scrive Caselli -, si legge che la decisione di non perquisire subito era stata prospettata dal capitano Sergio de Caprio e da lui sostenuta. Ciò allo scopo di permettere lo sviluppo di indagini coperte sui soggetti che assicuravano protezione al Riina. Come del resto già sostenuto in un documento ufficiale del Ros indirizzato all’epoca dei fatti alla procura di Palermo, nel quale si spiegava che il rinvio della perquisizione era stato necessario per evitare ogni intervento immediato o comunque affrettato e per non pregiudicare ulteriori acquisizioni che dovevano consentire di disarticolare la struttura economica e quella operativa facente capo a Riina”.
Le dichiarazioni di “Ultimo” si collegavano alla motivazione della sentenza riguardante il processo sulla cosiddetta trattativa, nella quale i giudici della Corte d’assise d’appello scrivono che gli ufficiali del Ros, tutti assolti, con la mancata perquisizione della abitazione di Riina intendevano lanciare un “segnale di disponibilità” al dialogo alla componente moderata non stragista di Cosa nostra.