Mannino e la Trattativa Stato-mafia | La sentenza slitta al 4 novembre - Live Sicilia

Mannino e la Trattativa Stato-mafia | La sentenza slitta al 4 novembre

L'ex ministro Calogero Mannino

Non sono attese repliche della Procura e dunque il giudice per l'udienza preliminare Marina Petruzzella dovrebbe ritirarsi in camera di consiglio. Per l'ex ministro democristiano i pm hanno chiesto 9 anni di carcere.

PALERMO – Slitta al 4 novembre la sentenza del processo a carico dell’ex ministro della Democrazia cristiana Calogero Mannino, imputato nel procedimento stralcio sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. A sorpresa il gup Marina Petruzzella, che oggi si sarebbe dovuta ritirare in Camera di consiglio per il verdetto, ha pronunciato un’ordinanza con la quale dispone l’acquisizione di una serie di documenti e atti chiesti rispettivamente da accusa e difesa. Secondo il giudice si tratterebbe di materiale assolutamente indispensabile per la decisione. I pm presenti in aula hanno preannunciato che all’udienza del 4 novembre non faranno repliche avendo già terminato la discussione.

“La condotta di Mannino e degli altri intermediari della trattativa ha finito per contribuire a cambiare la strategia stragista di Cosa Nostra negli anni ’92-’93”. Era cominciata così, attribuendo a Calogero Mannino l’input del presunto e scellerato patto con i boss, la durissima requisitoria al processo che oggi sarebbe dovuto arrivare a sentenza. Sotto accusa, in uno stralcio del dibattimento sulla trattativa Stato-mafia, c’è solo l’ex ministro democristiano.

È un “banco di prova” delicatissimo per la tenuta della ricostruzione dell’accusa, rappresentata dal procuratore aggiunto Vittorio Teresi e dai sostituti Antonino Di Matteo, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia. Mannino risponde di minaccia a corpo politico dello Stato. A differenza degli altri imputati ha scelto il rito abbreviato. Ecco perché viene giudicato separatamente dai boss Totò Riina, Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e Antonino Cinà, dal figlio di don Vito Ciancimino, Massimo, dagli gli ufficiali dei carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, dal colonnello Giuseppe De Donno, dall’ex senatore Marcello Dell’Utri e dall’ex ministro degli Interni, Nicola Mancino. Su Mannino pende una richiesta di condanna a nove anni di carcere.

La presunta Trattativa viene storicamente collocata tra l’omicidio dell’euro deputato Salvo Lima e il mancato attentato allo stadio Olimpico di Roma. Siamo, dunque, tra la primavera del 1992 e l’inverno del 1994. La ricostruzione dei pubblici ministeri ha finito per riempire 120 faldoni. Possiamo sintetizzarla così: a partire dal ’91 lo Stato, con Claudio Martelli al ministero della Giustizia e Giovanni Falcone agli Affari Penali, cominciò la sua battaglia contro Cosa nostra a colpi di norme pesantissime. A quel punto la mafia avrebbe deciso di “eliminare i rami secchi” (sarebbero state le parole di Riina). Bisogna uccidere i politici che prima avevano dato garanzie, salvo poi non mantenere le promesse. “Venne stilato un programma con tanto di obiettivi da uccidere”, hanno sostenuto i pm. Prima Salvo Lima, Mannino al secondo posto, poi politici come Carlo Vizzini e Salvo Andò. Infine Martelli, ma per la sua azione antimafia. Quando arrivò la conferma delle condanne del Maxi processo Cosa Nostra avrebbe accelerato uccidendo Lima, garante degli interessi mafiosi. Il ministro dell’Interno Scotti lanciò l’allarme per l’inizio di una strategia stragista, ma i politici, secondo l’accusa, lo considerarono “una patacca”. A questo punto, Mannino per salvarsi la vita, avrebbe i contatti con i boss tramite i carabinieri del Ros e con la mediazione di don Vito Ciancimino. Risultato: Totò Riina dettò le sue condizioni nel papello. La Stato cedette con il mancato rinnovo del 41 bis per 334 boss mafiosi rinchiusi nelle carceri di mezza Italia. Le stragi, però, non si fermarono. La Trattativa, dunque, sarebbe proseguita con altri protagonisti. Su tutti Marcello Dell’Utri, che avrebbe portato la minaccia mafiosa a Silvio Berlusconi, che da li a poco sarebbe diventato premier, e Bernardo Provenzano (la posizione del boss corleonese è stata stralciata per le sue condizioni di salute).

“Non ho mai ceduto dalla linea etica portata avanti durante la mia vita politica. I pm si industriano ancora ad alimentare accuse infondate – ha detto Mannino nel corso del processo rendendo dichiarazioni spontanee -. Da potenziale vittima di Cosa nostra – ha aggiunto l’imputato difeso dagli avvocati Nino Caleca, Grazia Volo e Marcello Montalbano – ho comunque continuato ad esercitare il ruolo di contrasto alla mafia che ha contraddistinto tutta la mia vita”.

 


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