PALERMO – “Ma solo nel 2016, deponendo quale testimone al processo Trattativa, egli introduceva per la prima volta la circostanza che in quel materiale informatico vi erano notizie rilevanti ai fini della possibile cattura del latitante Bernardo Provenzano”.
“Egli” è Saverio Masi, il maresciallo dei carabinieri per il quale il giudice Vittorio Alcamo ha ordinato l’imputazione coatta per calunnia nei confronti di un gruppo di ufficiali. In una parte del provvedimento si fa riferimento al processo Trattativa. Masi è il secondo testimone del dibattimento che finisce sotto accusa per calunnia. È già accaduto a Massimo Ciancimino, condannato in primo grado a Bologna per avere accusato ingiustamente l’ex 007 Rosario Piraino e rinviato a giudizio a Caltanissetta per avere calunniato l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro.
I testimoni Ciancimino e Masi hanno un peso diverso. Il figlio dell’ex sindaco è un pilastro dell’architettura accusatoria della Procura. È stato lui a raccontarne i segreti. Poi, la sua credibilità è vacillata per una sequela di circostanze: la manipolazione del documento in cui sosteneva che il padre avesse appuntato il nome di De Gennaro, la condanna per il caso Piraino, le diverse versioni sulla dinamite che si era portato nel giardino di casa e per la cui detenzione è tornato in carcere, gli innumerevoli riconoscimenti del fantomatico signor Franco, la motivazione dell’assoluzione di Calogero Mannino in cui le sue dichiarazioni sono bollate come “incoerenti” e “strumentali”.
I racconti di Ciancimino jr, e dunque la sua credibilità, sono un tema portante nel processo sulla Trattativa che il figlio di don Vito dice di avere vissuto in prima persona al fianco del padre. Il peso di Masi si misura non tanto per ciò che era chiamato a raccontare sul presunto e scellerato patto (l’episodio dello stop ricevuto quando stava per mettere le mani sul papello e non confermato da 28 carabinieri sentiti dai magistrati) quanto per il contesto di nefandezze che ha attribuito ai suoi colleghi ufficiali. Sono le stesse nefandezze ora giudicate calunniose dal gup Alcamo. Masi in udienza, alcuni mesi fa, tracciò uno scenario popolato da traditori dello Stato che avrebbero consentito a Messina Denaro e Bernardo Provenzano di scappare. Un contesto di infedeltà in continuità con il solco tracciato dalla Trattativa a cavallo delle stragi del ’92.
Il giudice Alcamo ritiene che Masi sia stato mosso da un sentimento di rivalsa per la condanna che gli è stata inflitta per falso (tentò di farsi togliere una multa sostenendo che stesse effettuando un servizio con la macchina privata). Alcamo sottolinea la “sospetta progressione dichiarativa” del maresciallo. E si ritorna alle frasi iniziali, al materiale informatico” su Provenzano contenuto in un pc e di cui Masi parlò per la prima volta al processo Trattativa. E cioè quattordici anni dopo essere accaduto. Per aggiungere nuovi elementi scelse il dibattimento dove era stato convocato dal pool di pm di cui fa parte anche Antonino Di Matteo. E cioè il magistrato che Masi da anni protegge con il ruolo di capo scorta.