Amici e soldi, l’eredità di Messina Denaro. E c’è chi esulta per la morte   - Live Sicilia

Amici e soldi, l’eredità di Messina Denaro. E c’è chi esulta per la morte  

Messina Denaro in una foto di famiglia degli anni Ottanta
L'archivio segreto, i fedelissimi e le talpe del padrino

PALERMO – Bisogna fare una premessa: Matteo Messina Denaro non era il capo di Cosa Nostra. Un ruolo che spetta, infatti, a un palermitano. Era però il padrino indiscusso della sua provincia, Trapani, ed era l’ultimo rappresentante in vita della Cosa Nostra corleonese che decise le stragi di mafia del ’92 e del ’93.

C’è chi esulta per la morte

Alla sua morte, alla luce di alcune intercettazioni degli anni passati, altri mafiosi avranno esultato, stanchi della continua pressione degli investigatori. C’è da giurarci: qualcuno, almeno in provincia di Trapani, tenterà di rinegoziare il suo ruolo mafioso, mettendo sul piatto il peso dei disagi patiti nell’ultimo decennio. Se non filerà tutto liscio potrebbero esserci fibrillazioni. Anche perché, ed è questo un altro aspetto, Messina Denaro ha fatto soldi a palate. Qualcun altro, ora che non c’è più lui, potrebbe farsi avanti per reclamare una parte del bottino.

La filiera dei soldi è la prima che si deve ricostruire. Qualche pedina potrebbe essere già stata individuata partendo da pizzini e documenti trovati nell’ultimo covo a Campobello di Mazara, nella casa dei genitori in via Alberto Mario e nell’abitazione di campagna di Rosalia, in contrada Strasatto-Paratore, a Castelvetrano. Il punto è che è stato trovato molto materiale ma non tutto e soprattutto manca certamente una parte.

Archivio segreto

Possibile che non ci sia un solo appunto in cui il capomafia facesse riferimento alla sua vita mafiosa? Dove si trova il resto del suo archivio? Messina Denaro, nel corso dell’interrogatorio con i pm, è stato ambiguo. Sono più le bugie dette che le mezze verità ammesse. Ha parlato, però, di qualcosa che sarà difficile trovare, custodito chissà dove, e di affari: “Ma la mia vita non è che era solo a Campobello, ma queste cose io qualora ce le avessi non le darei mai, non ha senso per il mio tipo di mentalità”.

La talpa

Messina Denaro sapeva come nascondersi e come difendersi da chi gli dava la caccia. Qualcuno in divisa, una talpa, ad esempio lo avrebbe aiutato a individuare telecamere e microspie. In un pizzino inviato alla sorella Rosalia il boss parlava di cassette di rilancio del segnale. “L’esito delle perquisizioni forniva anche l’inquietante notizia delle informazioni dettagliate di cui Rosalia – hanno scritto i magistrati – era venuta in possesso sul funzionamento delle telecamere installate dalla polizia giudiziaria per finalità investigative”. Nel corso dell’interrogatorio ammise di avere avuto un “aiuto”, ma negò di avere negò complicità ad alto livello: “Non è nella mia cultura accusare, ci sono persone che mi hanno aiutato… io, durante la latitanza, non ho mai avuto rapporti con appartenenti alle istituzioni, completamente”. Nessuno d’altra parte si aspettava che facesse i nomi.

Tra i pizzini in mano agli investigatori c’è quello in cui si fa riferimento a “parmigiano”, un imprenditore e finanziatore occulto a cui la sorella Rosalia doveva chiedere 40 mila euro. Quanti “parmigiano” ci sono da scoprire? Sono loro l’assicurazione sulla vita per i parenti del padrino. Per la figlia Lorenza, che ha preso il suo cognome solo di recente, per le sorelle Rosalia e Patrizia (detenute), Bice e Giovanna, e per il fratello Salvatore che è libero dopo avere finito di scontare la sua condanna per mafia. Patrizia Messina Denaro è stata l’alter ego del fratello e sta scontando 14 anni. “Matteo dice… “, il fratello ordinava e lei eseguiva. In carcere c’è finita nel 2013, a conti fatti presto sarà libera.

Imprenditori e politici collusi

Chi sono gli imprenditori e i politici collusi? Vivono anche a Palermo, dove Messina Denaro faceva molto spesso tappa per frequentare i salotti della borghesia. Molti credevano che fosse un medico in pensione, diceva di chiamarsi Francesco Salsi, ma molti altri sapevano chi fosse. E vivono anche all’estero, tra l’America e i paesi arabi. Messina Denaro è stato più intraprendente negli affari che operativo in Cosa Nostra. La grande distribuzione di Giuseppe Grigoli e le energie alternative di Vito Nicastri sono stati i settori privilegiati degli investimenti. Fino a quando è rimasto in vita è comunque stato una figura carismatica a cui molti hanno fatto riferimento, innanzitutto perché custode dei segreti della stagione stragista. I boss di San Lorenzo e Brancaccio lo hanno cercato nel recente passato, ma Messina Denaro è stato timido nel rispondere. Oggi la mafia di Palermo è senza un capo e senza commissione provinciale.

Il lusso del padrino

Sono stati i soldi la sua vera ragione di vita. Spendeva 20 mila euro al mese per le necessità quotidiane. Amava il lusso, che mostrava portando al polso costosi orologi. Bisogna scovare il meccanismo, maniacale per come ha dimostrato di essere, architettato per lasciare la sua eredità. C’è un episodio apparentemente meno importante ma che in realtà dimostra che di segreti ne restano tanti da scoprire.

Un anno fa è stato arrestato Franco Luppino, boss di Campobello e da sempre fedele alleato di Messina Denaro. Il pentito Andrea Bonaccorso ha raccontato che il 5 novembre 2007 Matteo Messina Denaro stava raggiungendo a bordo di una panda di colore verde Salvatore Lo Piccolo a Giardinello. È lì che quel giorno il boss di San Lorenzo fu arrestato.

Il fedelissimo Luppino

Non era da solo Messina Denaro, ma in compagnia di Luppino, uno dei suoi uomini più fidati, e Ferdinando Gallina, giovane e rampante boss della famiglia mafiosa di Carini, alleata fedele di Lo Piccolo, di recente condannato all’ergastolo. Videro l’elicottero che seguiva dal cielo le fasi della cattura del boss di San Lorenzo che in quell’immobile fu sorpreso assieme al figlio Sandro e ad altri due ricercati: Gaspare Pulizzi e Andrea Adamo.

Nei giorni precedenti Adamo avrebbe detto a Bonaccorso che doveva esserci un incontro con “un trapanese” senza specificarne l’identità e che bisognava “tenere gli occhi aperti”. Quando si accorsero che sul cielo di Giardinello c’era un elicottero decisero di fare marcia indietro. Successivamente Pino Scaduto, boss di Bagheria legato a Messina Denaro, avrebbe svelato a Bonaccorso l’identità del misterioso “trapanese”. Era Matteo Messina Denaro. “Se i poliziotti avessero aspettato al massimo un’ora – riferì Bonaccorso – in quella casa sarebbe successo il 48”.

Non è finita. La Panda verde fu intercettata da altri investigatori che seguivano Luppino. La agganciarono nella zona di Balestrate e la seguirono fino a Castelvetrano dove due uomini, così c’era scritto nei rapporti di allora, la parcheggiarono in un magazzino per poi allontanarsi a piedi. Furono anche prelevate delle impronte, ma non bastarono a stabilire con certezza chi fosse l’uomo assieme a Luppino. Due uomini, non più tre. Un passeggero era sceso prima che iniziasse il pedinamento. La presenza di Messina Denaro non è stata mai confermata. Qualcuno, fra gli investigatori, sostiene che in realtà è impossibile che il padrino, prudente com’era, corresse un tale rischio andando ad incontrare un altro super ricercato. Resta il fatto che un suo uomo, Luppino, andò a discutere di affari con Lo Piccolo.

C’è qualcosa che va ricordato a futura memoria. Oggi, domani e per sempre. Messina Denaro è rimasto in carcere otto mesi. Otto mesi di carcere e 30 anni di latitanza.

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