Inchiesta su Banca Nuova | Messineo nelle intercettazioni - Live Sicilia

Inchiesta su Banca Nuova | Messineo nelle intercettazioni

Francesco Messineo

La procura di Caltanissetta indaga su una presunta violazione di segreto che coinvolgerebbe il procuratore di Palermo intercettato mentre parlava con l'ex direttore generale di Banca Nuova, Francesco Maiolini. L'episodio è legato a un'inchiesta a carico di Banca Nuova. L'amministratore di una società avrebbe denunciato l'istituto di credito per questione legate al calcolo della soglia di usura dei prestiti. Una vicenda che ha provocato l'apertura di analoghe inchiesta in tutta Itali che coinvolgono diversi istituti bancari.

Il procuratore: "Non so nulla"
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PALERMO – Mentre continua a interrogarsi su come “obbedire” alla Corte Costituzionale, che gli ha imposto di distruggere le registrazioni delle telefonate del presidente della Repubblica, Francesco Messineo, capo della Procura di Palermo, si trova alle prese con una nuova grana. Sempre di intercettazioni si tratta. Ma stavolta, nelle conversazioni finite sotto inchiesta, c’é pure lui. La vicenda, passata per competenza ai magistrati di Caltanissetta, risale a maggio scorso, quando il procuratore sarebbe stato indirettamente intercettato dalla guardia di finanza che, su delega di tre pm palermitani, indaga su un’ipotesi di usura bancaria che coinvolgerebbe Banca Nuova. In realtà a essere sotto controllo non era Messineo, ma l’ex direttore generale dell’istituto di credito, Francesco Maiolini. Al manager, che si è dimesso dall’incarico proprio in quel periodo, il magistrato avrebbe detto che erano emerse delle cose sulla banca e che sarebbe stato meglio parlarne a voce.

L’inchiesta oggetto della discussione fra Messineo e Maiolini, come si apprende da fonti di Live Sicilia, sarebbe legato alla soglia dei tassi d’usura stabiliti dalla Banca d’Italia. Una vicenda molto tecnica che, in soldoni, potrebbe essere così riassunta. Per lungo tempo dal calcolo della soglia d’usura è stata esclusa la cosiddetta commissione di massimo scoperto. Nel 2010 una sentenza della Cassazione ha fatto chiarezza, stabilendo che le commissioni comportano un costo legato all’erogazione del credito. E dunque vanno computate nel calcolo della soglia di usura. Tutto questo ha provocato l’apertura di una raffica di inchieste da parte delle Procure di mezza Italia che hanno coinvolto diversi istituti bancari. Si sono attivati anche i pubblici ministeri di Trapani che hanno indagato Banca Nuova per un’operazione ritenuta sospetta. O almeno tale era stata considerata fino all’archiviazione. Decisiva per chiudere la faccenda sarebbe stata la mancanza del dolo, necessario affinché si possa contestare il reato di usura, da parte di Banca Nuova. Niente dolo, visto che l’istituto di credito aveva applicato una direttiva della Banca d’Italia, e niente reato.

L’archiviazione arriva nel gennaio scorso. Due mesi dopo, a marzo, la procura di Palermo avrebbe recapito una trentina di avvisi di garanzia a vecchi e nuovi vertici di banca Nuova in Sicilia. L’amministratore di una società contestava l’applicazione di un tasso d’usura e un conseguente esborso non dovuto di interessi di poco inferiore a quattro mila euro. Soldi che sarebbero stati restituiti prima dell’avvio dell’inchiesta penale. In questo contesto si collocherebbe la telefonata di Maiolini a Messineo. Una telefonata in cui il manager avrebbe spiegato al procuratore quanto era precedente avvenuto a Trapani e nel resto d’Italia. L’incontro avvenuto successivamente tra i due sarebbe servito a consegnare al capo dei pm palermitani le carte processuali trapanesi.

Poco tempo prima, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il procuratore avrebbe preso informazioni sull’indagine dai suoi sostituti. Sul caso dalla Procura di Caltanissetta arriva un secco no comment, ma, secondo quanto si apprende, dopo avere ricevuto le carte dall’aggiunto Antonio Ingroia, che all’epoca coordinava l’inchiesta su Banca Nuova, i magistrati nisseni avrebbero aperto un fascicolo di atti relativi: una sorta di accertamento preliminare che dovrebbe chiarire se ci si trova davanti a un reato. Che in questo caso sarebbe di violazione di segreto istruttorio. “Non ho alcuna notizia su questa vicenda e non intendo parlare prima di conoscere esattamente quali sono i profili della cosa”, replica Messineo chiaramente imbarazzato.

Nel suo ufficio oggi c’é stato un via vai continuo di sostituti e aggiunti. Un po’ per discutere della nuova tegola caduta sull’ufficio, un po’ per affrontare quello che da mesi è il problema della Procura: le intercettazioni delle telefonate tra Napolitano e l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino finite nell’inchiesta sulla trattativa Stato-mafia. Dopo mesi di discussioni e polemiche, giuridiche e non solo, su quale fosse la procedura corretta per distruggerle, visto che per i pm erano irrilevanti ai fini dell’indagine, la Corte Costituzionale è intervenuta con un provvedimento, reso noto per il momento solo tramite un comunicato, che boccia sonoramente l’operato della Procura. I pm non dovevano valutare la rilevanza delle telefonate e dovevano mandare le bobine al gip per la distruzione, dice in sintesi la Consulta. Una decisione perentoria che lascia aperta, però, una serie di problemi.

Ad esempio sui tempi in cui i pm dovranno mandare al gip le intercettazioni. “Il nodo riguarda la eventuale valenza esecutiva del comunicato emesso dalla Consulta. Qualora dovessimo accertare che è immediatamente esecutivo, dovremmo attivare la procedura subito e mandare tutto al gip senza attendere la notifica della sentenza”, dice Messineo. Mentre il procuratore e i suoi si interrogano sulla questione, che, secondo i magistrati, non risolverebbe comunque gli interrogativi su come il gip dovrà procedere poi, sulla tormentata vicenda interviene dal Guatemala Antonio Ingroia. “La decisione della Corte – spiega nel blog Partigiani della Costituzione – non ha risolto affatto il problema ed il giudice che verrà investito dalla Procura di Palermo sarà punto e a capo, perché la Consulta non è intervenuta in alcun modo sulla legge, com’era necessario. Ha invece soltanto dato ragione, platealmente, al Capo dello Stato, per bacchettare altrettanto platealmente la Procura di Palermo. Ma che farà il gip, visto che il vuoto legislativo che c’era è rimasto? Dovrà tornare alla Corte Costituzionale sollevando stavolta la questione di legittimità perché intervenga con le regole del diritto e non con una decisione ‘politica’”. Tutto sembra restare ancora aperto, dunque. E intanto le intercettazioni rimangono chiuse nella cassaforte della Procura.

 


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