“Legame col potere| è nel dna della mafia” - Live Sicilia

“Legame col potere| è nel dna della mafia”

“Moro, Mattarella, La Torre: misteri e verità nascoste”. E’ questo il tema conduttore del convegno dedicato alla memoria di Elena Fava che si è tenuto ieri nel monastero dei Benedettini.

PARLA DI MATTEO
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CATANIA – “Moro, Mattarella, La Torre: misteri e verità nascoste”. E’ questo il tema conduttore del convegno dedicato alla memoria di Elena Fava che si è tenuto ieri nel monastero dei Benedettini, una giornata di studi, organizzata dal dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università etnea nell’ambito dei laboratori d’Ateneo su “Territorio, ambiente e mafie”, in collaborazione con le associazioni Libera, Memoria e Futuro e Fuori dal Coro, mirata a districare la matassa dei riflessi storici e politici legati ai delitti eccellenti che hanno insanguinato il nostro paese.

Vicende giudiziarie dagli iter tortuosi sulle quali fare luce è una esigenza per capire il presente. Il nodo da sciogliere parte dal filo rosso che lega le figure di Aldo Moro, Piersanti Mattarella e Pio La Torre da contestualizzare in un quadro ampio, di respiro internazionale. “Quello che non siamo riusciti a capire esercita un’ipoteca sulla storia italiana”, spiega Ernesto De Cristofaro, docente dell’Università di Catania. Il convegno è stato aperto dalla relazione dello storico Nicola Tranfaglia che ha passato in rassegna le tappe salienti della storia italiana e delle vicende giudiziarie oscure legate a diversi omicidi eccellenti dando il la ai vari relatori (i giornalisti Stefania Limiti e Andrea Purgatori, il professore Ernesto De Cristofaro, l’avvocata Adriana Laudani), che hanno passato in rassegna vari tasselli di un puzzle complesso: i buchi neri nella strategia della tensione, il ruolo controverso di alcuni apparati dello Stato deviati, il lungo percorso della legislazione antimafia in Italia, e i depistaggi che hanno messo i bastoni tra le ruote alla libera informazione fino agli intrecci tra “mafia, politica e affari” nella Sicilia degli anni ottanta.

Un fil rouge che porta a Moro, Mattarella e La Torre, tre politici “impegnati a rompere blocchi ideologici asfittici” e a combattere la criminalità organizzata. Spesso attraverso innovazioni decisive. Come nel caso dell’ex segretario del Pci. “Pio La Torre pensò a Cosa Nostra come a un’associazione unitaria da colpire sul piano finanziario poiché lo scopo ultimo è quello di accumulare denaro e fare profitti e attraverso questi soldi condizionare quante più persone: il provvedimento che porta il suo nome ha consentito a Falcone e Borsellino la chiave per scoprire il maxiprocesso”, spiega De Cristofaro. Lo stesso vale sul piano prettamente politico. “E’ importante legare le tre figure perché c’è un’Italia prima di Moro e una dopo Moro. In Sicilia è stata decapitata un’intera classe dirigente istituzionale e politica: La Torre e Mattarella erano legati tra loro come Moro e Berlinguer”, spiega Armando Sorrentino avvocato di parte civile Pds nel “processo La Torre”.

“Questi uomini hanno intuizioni nuove su come si era trasformata la mafia e sui rapporti inediti a livello nazionale e internazionale. Mattarella era l’uomo del cambiamento e della moralizzazione che vuole un rapporto con La Torre. A molti questo non piaceva, significava cambiare tutti gli equilibri mondiali e toccare Yalta. Usa e Urss non potevano consentire una modifica che poteva andare a toccare altri livelli mettendo in discussione il Patta Atlantico”, argomenta Sorrentino.

Un quadro complesso dove la mafia “è sempre presente, ma probabilmente non decide semmai esegue”, aggiunge l’avvocato. Del resto, i rapporti con il potere sono una costante dell’attività criminale come sa bene il Pm Nino Di Matteo intervenuto nella parte conclusiva dell’assise. “È indubbio che la vera forza di Cosa Nostra siciliana sia sempre stata nei collegamenti con il mondo della politica, delle professioni, dell’imprenditoria e della finanza”. “E’ nel dna di Cosa Nostra cercare il collegamento con il mondo del potere, per contrastarla serve uno scatto d’orgoglio da parte dello Stato e d’incisività nelle indagini per recidere questi rapporti con il potere”, spiega il sostituto Procuratore di Palermo. E nonostante esistano numerose “verità nascoste”, Di Matteo ricorda che ci sono anche “verità completamente ricostruite in via giudiziaria”. Elementi dai quali ripartire anche perché “non sono risultati scontati nel nostro Paese”.


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