"Nascerà una bella femminuccia" | Le due ragazze venute dal mare - Live Sicilia

“Nascerà una bella femminuccia” | Le due ragazze venute dal mare

Fassiuta e la dottoressa Carolina Vicari

Sono arrivate all'ospedale Civico dopo mille peripezie e violenze. Ecco le loro storie.

PALERMO- Fassiuta, la ragazza che viene dalla Costa d’Avorio, ha i capelli raccolti e accetta di farsi fotografare con ‘Carola’, la dottoressa Carolina Vicari del reparto di Ostetricia del ‘Civico’, una squadra che funziona a meraviglia, diretta dal professore Luigi Alio.

Fiore, la ragazza che viene dall’Eritrea, è un’ombra. Non c’è. Non si mostra. Non parla e se ne sta appartata. Alla mediatrice culturale dell’Asp, piangendo, ha svelato le atrocità subite. Dicono che abbia sofferto troppo, per questo sfugge.

Sono entrambe in dolce attesa al culmine di un mare in tempesta. Sono qui dopo l’avventura e dopo il dolore. Sono arrivate in quattro, tutte incinte, in elisoccorso da Lampedusa. Erano a bordo della nave della Guardia costiera ‘Diciotti’; da lì sono state trasferite sull’isola in motovedetta. Un ulteriore viaggio: una all”Ingrassia’, una ad Agrigento, due all’ospedale Civico. Si era diffusa la voce che fossero passeggere dell’Aquarius e l’interesse era divampato con ardore, per le note vicende. Poi, quando si è capito che erano ‘soltanto’ le anime sdrucite di un’altra tragedia, l’emozione iniziale si è appena un po’ affievolita.

“Ma perché tutti questi giornalisti? Lei è almeno il terzo”, chiede una signora ospite del reparto. E’ vero, gli sbarchi ci sono sempre, ma non sempre la carne umana comprata, venduta e soccorsa, approda in prima pagina. Dipende dai giorni. Eppure, è la stessa carne umana.

Tra i corridoi di Ostetricia c’è un po’ di fibrillazione. Le chiacchiere circondano il dramma. “Poverini i migranti, sono come gli ebrei, come se fossero numeri…”. Per fortuna, medici e infermieri compongono una trama collaudata di garbo e competenza. Le storie della corsia si sommano. “I più generosi sono i pazienti poveri e le famiglie che aiutano i poveri. Si informano, prestano i vestitini, regalano qualcosa da mangiare”. E i ricchi? La risposta è uno sguardo lampeggiato d’ironia.

Le ragazze sono su, altrove, per il tracciato ecografico. Si sono confessate con la mediatrice culturale che ne ha ascoltato confidenze e sospiri. Una ha preso la mano di una dottoressa e l’ha ricoperta di lacrime, lamentandosi. Gemeva nella sua lingua sconosciuta.

La ragazza della Costa d’Avorio ha quarant’anni. Un marito che l’aspetta a casa e altri figli da sfamare. Questo che nasce sarà il settimo. Ha affrontato una traversata burrascosa, con l’ausilio di gommoni. Ha vinto il deserto, camminando a piedi. Dell’altra ragazza dell’Eritrea, molto più giovane, si narra di sofferenze atroci, di violenze, di stupri, di riduzioni in schiavitù, di sevizie e reclusioni, tra la Libia e il Sudan. L’ultimo carnefice che le ha fatto del male l’ha messa sopra un barcone come si butta un pezzo di carta per strada. Nel paradigma dei nuovi tempi feroci, nessuna vita vale solo perché vive.

A Palermo, intanto, un piccolo popolo si è ritrovato al porto, ieri sera, riunito in piazza, contro il meccanismo di precisione del rancore e delle chiusure a prescindere.

Al ‘Civico’ ci sono ex voto di gioia sulle pareti. Cicogne e farfalle disegnate segnalano l’atterraggio di un nuovo essere umano. Sono tanti i post di un destino lieto appesi da uomini e donne innamorati, freschi genitori, in un simile feisbuc di carta e cemento. Il pianto di un neonato che irrompe, per chi non c’è abituato, offre la commozione di un miracolo. Ciò che non c’era adesso c’è.

Le ragazze sono tornate dalla stanza del tracciato. “Una sarà una bellissima femminuccia”. Chissà come la chiameranno, se il suo nome avrà un po’ del sale e del cielo che l’hanno condotta qui. La ragazza ivoriana si mette in posa per una foto da principianti, quasi un diario familiare in anticipo sul battesimo. E l’altra dov’è? Si apre la porticina del bagno. Eccola. Un cerchietto le stringe i capelli, i piedi si trascinano sul pavimento. Nei suoi occhi c’è tutto il mare che ha attraversato, con la speranza di una terraferma.

 


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