"Noi i primi a scoprire frottole,| pennacchi e parrucche incipriate" - Live Sicilia

“Noi i primi a scoprire frottole,| pennacchi e parrucche incipriate”

Claudio Fava

La risposta del vice presidente Claudio Fava (Nella foto): "Saguto, Crocetta e gli incandidabili".

COMMISSIONE ANTIMAFIA
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5 min di lettura

Riceviamo e pubblichiamo la risposta all’articolo di Giuseppe Sottile da parte di Claudio Fava, vice presidente della Commissione parlamentare antimafia.

“Io che sono siciliano come l’amico Sottile conosco bene l’aria ferma e la parola appesa che si trovavano un tempo nei circoli dei civili. E molti luoghi della politica sono diventati più avvilenti di quei circoli dove almeno le mani di tressette erano una roba seria, senza trucchi e senza inganni.

Molti luoghi. Non la commissione antimafia. E non lo dico per carità di patria, che da apolide quale mi sento (in senso politico) parlar di patria è un ossimoro. Lo dico perché ci vivo, la conosco, la frequento. E dunque, dell’articolo di Peppino Sottile vorrei raccogliere alcune affermazioni per dirvi come la penso io.

Premetto: penso tutto il bene possibile del lavoro che fecero Chiaromonte e Violante presidenti, e mi azzarderei a citare anche Pio La Torre che presidente non fu ma che con la sua relazione di minoranza fece fare un salto doloroso di qualità ai lavori di quella commissione (che fino ad allora era stata uno stagno democristiano dove i nomi innominabili s’affacciavano un istante e poi precipitavano di nuovo verso il fondo e l’oblio).

Premessa fatta, prima circostanza che vorrei contestare: le nostre giornate “che si trascinano senza uno slancio, senza un colpo d’ala”. Non sempre abbiamo volato, ma qualche segno è rimasto sul cuoio indurito di questa politica italiana.

I primi a chiedersi pubblicamente cosa ci fosse dietro questa parola esibita come un berretto a tre palle, “antimafia”, siamo stati proprio noi della commissione antimafia. In un tempo in cui la parola era in sé sacra, inviolabile, garanzia di purezza e di carriera, qualche punto di domanda cominciammo a scriverlo proprio a San Macuto: sui pennacchi, sulle carriere, sulle frottole. Cercando di censire tutti i dubbi e di ascoltare tutti i dubbiosi (uno dei prossimo sarà l’amico comune Pierangelo Buttafuoco). Fu colpo d’ala? Fu vera gloria? Ci stiamo provando. Sapendo che nei cortili e nei corridoi della buona politica di siffatte questioni non si questiona affatto.

Perché i partiti amano apparire, rappresentarsi, indossare i vestiti migliori. Ma qualche volta è solo un annacamento. Si prenda il codice di autoregolamentazione che tutte le forze politiche vollero darsi per dimostrare di essere una spanna al di sopra di ciò che prescrive il codice. Per dire: la legge non permette che ti candidi se hai riportato una condanna per reati particolarmente gravi? I partiti, tutti, dissero che era troppo poco. E rilanciarono: a noi basta il rinvio a giudizio e vi giuriamo che non li candideremo mai. Giusto? Sbagliato? Qui non mi pronuncio. Mi pronuncio su quel voto solenne, rumoroso, maiuscolo (come la relazione Violante, approvata all’epoca all’unanimità) con cui i partiti, tutti, si fecero belli davanti allo specchio. Per poi continuare a candidare incandidabili. Tanto a casa nostra vale l’annuncio: un ponte che si farà, un cantiere che si aprirà, una lista elettorale che si emenderà… E poi all’annuncio ci fermiamo.

C’era una cosa divertente, in quel codice di autoregolamentazione: le forze politiche (loro, tutte) chiedevano proprio alla commissione antimafia di vigilare sul rispetto di quelle norme. Ma quando la commissione chiese di poter vedere le liste prima (non dopo, a babbo morto) per capire quante minchiate i partiti, tutti, avessero raccontato una volta indossato l’abito della festa, i suddetti partiti ci azzannarono. Anche quello della presidente Bindi, che il timone della barca, mentre da tutti i lati partivano sputi, ingiurie e querele, lo mantenne fermo. Non so se tutti gli altri, anche più blasonati, presidenti avrebbero fatto altrettanto se il segretario del loro partito li avesse scomunicati in pubblico e in privato.

Insomma, erano un paio di esempi. Solo per dire che qualche partita a tressette, seria, ce la siamo fatta anche a San Macuto.

L’altro punto: Crocetta. Il mio giudizio sul personaggio è quello di Sottile, per cui ho poco da aggiungere. Quel signore è un cicisbeo: con un neo posticcio e una parrucca incipriata, starebbe bene nei giardini di re Luigi. Ma non è vero che gli sia stata consentita una passerella senza subire domande. Ero a Vienna per lavoro martedì scorso, ma ero presente alla precedente audizione. Le mie domande sono a verbale, parlano di monnezza, confindustria e massoneria. Non sono a verbale le risposte del signor presidente che le giudicò irriverenti verso la propria maestà, dettate solo da stizza politica: e dunque tacque. Ma le domande c’erano tutte. E non solo da parte di chi qui scrive.

Infine il prefetto Caruso. Che se ci avesse detto davvero (a noi, e magari anche ai magistrati di Caltanissetta) “gli abusi e le storture che fiorivano dentro e fuori i palazzi di giustizia” ci avrebbe permesso di capire ciò che nessuno di noi, onestamente, poteva nemmeno immaginare sulla dottoressa Saguto e la sua piccola corte palermitana. Il prefetto Caruso gettò invece acqua sul fuoco: “il mio presunto intento di delegittimare gli amministratori e l’autorità giudiziaria di Palermo è assolutamente falso. Non corrisponde assolutamente a verità”. E sulla presidente della sezione delle misure di prevenzione non una parola. Né da lui, ne da nessuno dei frequentatori di quel palazzo di giustizia che a più riprese ascoltammo. Tutti sapevano, tutti immaginavano: ma a domanda, tutti tacevano.

In questo la Commissione Antimafia è anche specchio dei tempi, delle viltà, delle vanità, delle malinconie di un paese che quando deve parlare a se stesso di mafia sa usare solo le lettere maiuscole. Oppure non ne parla affatto”.

Claudio Fava


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