Questa volta si tenta di dare veramente una boccata d’ossigeno all’economia italiana ed un aiuto concreto ai tantissimi contribuenti che, per svariati motivi, ma principalmente a causa della pandemia e della relativa crisi economica, ed oggi anche per led conseguenze economiche della guerra in atto, non hanno potuto pagare i loro debito verso il fisco. In effetti il momento attuale non permetterebbe sconti o condoni, ma non bisogna trascurare che l’norme quantità di cartelle di pagamento assolutamente inesigibili (in quanto tali riconosciute) ingolfano inutilmente la macchina fiscale, chiamata a tentare di recuperare crediti che in realtà non potrà mai recuperare.
E questo non riguarda solo le somme iscritte a ruolo, ma anche somme che l’Agenzia delle Entrate è in procinto di chiedere ai contribuenti, per non parlare del contenzioso tributario dove la “rottamazione” prevista dalla legge 130 del 31 agosto scorso, riguarda esclusivamente le controversie giacenti in Cassazione, controversie che sono una minima parte di quelle che dovranno trattare le nuove Corti di Giustizia Tributaria di primo e di secondo grado, specialmente con la fuoriuscita di tantissimi giudici per i quali l’età massima è stata ora fissata in 70 anni (mentre fino al 15 settembre era 75 anni). Non si dimentichi nemmeno l’esigenza della semplificazione e della chiarezza, perché se le nuove leggi, anche quelle che permettono la nuova definizione, vengono concepite così come state fatte tutte le altre disposizioni tributarie, le cose non potranno cambiare mai.
Importante, poi, è improntare un rapporto fisco-contribuente veramente (e non solo formalmente) personalizzato e caratterizzato dalla fiducia. Se ricevo una cartella per la quale ho la certezza che il debito sottostante non è dovuto, non giova certo alla compliance il fatto che dovrò chiedere un appuntamento all’ufficio, aspettare tantissimo tempo prima di ottenerlo, aspettare il mio turno in ufficio e, poi, forse (se il funzionario si convince sulla base dei documenti che produco), ottenere lo sgravio.
Una situazione frequentissima e che nuoce in modo estremamente forte al rapporto tra il cittadino e l’Amministrazione Finanziaria. Gli errori, peraltro, sono tanti. Accade che viene tassato in successione (anche per una erronea dichiarazione del contribuente) un cespite la cui proprietà era stata acquisita per atto pubblico di acquisto in data precedente alla morte. Accade che viene tassato due volte un cespite per il quale l’imposta era stata pagata sulla base di un testamento poi dichiarato nullo dal Tribunale e poi acquisito (giustamente) dai nuovi e legittimi proprietari/eredi. Accade che viene tassato il reddito di locazione (inesistente) di un immobile la cui proprietà era stata trasferita negli anni precedenti. In ambito comunale, accadono errori e comportamenti simili a quelli prima cennati. Forse, almeno in alcuni grossi Comuni, il rapporto tra fisco e cittadino è peggiore. Non funziona (o meglio non consente di avere risposta), per esempio, il così detto “cassetto comunale” che dovrebbe semplificare l’invio delle istanze dei contribuenti e le risposte dell’ufficio comunale.
Capita che viene chiesta la TARI più di una volta, e ciò soltanto perché la via o la piazza dove si trova l’appartamento (che produce rifiuti) ha cambiato nome più di una volta, circostanza che fa pensare al Comune che il contribuente possegga non uno solo appartamento, ma due o tre. Accade pure che per un’IMU che il contribuente deve pagare (anzi ha pagato) in relazione alla sua quota di proprietà (supponiamo solo il 10%), venga richiesto l’intero 100%, costringendo lo stesso contribuente a chiedere l’appuntamento, a discutere col funzionario, a cercare documento per dimostrare le sue ragioni, ecc..
E l’articolo 97 della costituzione che fine ha fatto ? Chi scrive, in verità, già per lungo tempo Dirigente del MEF/Agenzia Entrate, Garante del Contribuente per la Sicilia (per 15 anni ininterrottamente) e poi Giudice Tributario, ha lavorato alla redazione di una bozza di disegno di legge che consentirebbe al contribuente (fatta evidentemente eccezione ai casi di accertamento vero e proprio), di “autocertificare”, anche tramite PEC, sotto pena di sanzioni penali, l’insussistenza del credito erariale richiesto erroneamente da un ufficio
fiscale.
L’onere di verificare la verità dei fatti, quindi, passerebbe in questo modo all’ufficio al quale potrebbero essere assegnati 90 giorni per confermare la sua pretesa (applicando in questo caso tutte le sanzioni previste, comprese quelle penali per il mendacio), oppure abbandonare in autotutela l’erronea pretesa, senza costringere il cittadini ad insopportabili sacrifici (morali, materiali ed economici) per dimostrare la
sua “innocenza”.
Ma la fine della legislatura ha fatto cadere nel nulla la proposta. Forse, però, potrebbe essere ripresa in esame. C’è da dire, ancora, che in realtà, la digitalizzazione tanto sbandierata ancora non ha visto la luce, anche in ambito fiscale. Anziché costringere i contribuenti a ricordare le numerosissime scadenze, compilare moduli complicatissimi (specialmente per le persone meno pratiche nell’informatica), si potrebbe (o meglio si dovrebbe) creare una piattaforma informatica (un portale fiscale), magari distinto per categoria economica o tipo di contribuente, dove, digitando solo il codice fiscale, venga fuori un questionario informatico (“a tendina”) dove il contribuente, senza compilare nulla, soltanto collocandosi nelle varie ipotesi previste e ben distintamente indicate (interessi, tributo, sanzioni, IRPEF, IVA, ecc.), fatta la somma dei vari importi da pagare, effettui il versamento con bonifico o carta di credito, oppure indichi il motivo per cui beneficia di una esenzione o non abbia nulla da pagare.
Quello ora detto è un portale che, in altri ambiti, in Italia ed all’estero, sono già perfettamente funzionanti ed efficaci. Efficaci anche perché la notizia del pagamento (o del mancato legittimo pagamento) dovrebbe, sempre attraverso il codice fiscale, essere subito conosciuta dall’operatore finanziario (banca, posta, ecc.) il quale, accertato un mancato pagamento, lo potrebbe comunicare all’Ufficio fiscale (Agenzia delle Entrate, Comune o altro Ente impositore) per i controlli di successiva competenza circa il mancato versamento. Poi, evidentemente, gli uffici fiscali e l’agente della riscossione si occuperebbero di verificare la congruenza di quanto (a questo punto “effettivamente”) pagato ovvero il motivo del mancato pagamento, facendo scattare l’iscrizione a ruolo e la cartella di pagamento, ferma restando l’opportunità di dilazionare sempre al massimo il debito, specialmente in relazione all’ISEE del soggetto. In realtà, non si può rimanere in balia della irrazionalità e della disorganizzazione, problemi, attenzione, che non sono assolutamente imputabili ai dirigenti ed ai funzionari dei nostri uffici, ma ad un sistema che al più presto (anzi, immediatamente) va rivisto. Pena l’assoluta mancanza della citata compliance, ossia la tanto sperata “adesione spontanea” che, come detto tantissime volte, rappresenta un punto essenziale come rimedio contro l’evasione.
Nel frattempo, come si diceva prima, arrivano altri sconti ed altre rottamazioni. Saranno probabilmente cancellate le iscrizioni a ruolo (quelle che sarebbero diventate cartelle di pagamento) d’importo non superiore a 3.000 Euro. Saranno forse abbandonate (o scontate) le sanzioni sulle cartelle
d’importo superiore a 3.000 Euro, con uno sconto dell’80% del tributo. Speriamo che venga prevista la possibilità, automatica o quanto meno legata solo all’ISEE, di ottenere la rateizzazione del debito residuo, anche in dieci anni.