Oltre il ghetto con amore e dignità | Le storie dei rom di Palermo - Live Sicilia

Oltre il ghetto con amore e dignità | Le storie dei rom di Palermo

Il sindaco Orlando e i rom del campo in una recente riunione a Villa Niscemi

Le polemiche, i pregiudizi, la cronaca. Ma chi sono davvero le persone?

Ma come sono davvero i rom di Palermo – protagonisti, loro malgrado delle polemiche che la chiusura del campo ha provocato – gli uomini e le donne che fin qui hanno vissuto tra ratti e munnizza, ai margini di una città che non li ha mai accolti?

La voce popolare azzarda da sempre sentenze irrevocabili, tra letture di giornali, pregiudizi e suggestioni. I rom in quanto rom (tutti, su scala mondiale) rubano. I rom rapiscono i bambini. I rom sfruttano le donne, sono parassiti, sono lavativi.

Anche vent’anni fa le stesse chiacchiere erano una declamazione consacrata e mai verificata. Ero un giovane giornalista, di casa al campo rom della ‘Favorita’, lì dove un grande capocronista mi aveva mandato per farmi le ossa. E mi ci aveva paracadutato con una secca raccomandazione che sarebbe tornata utile per tutto: scrivi soltanto quello che vedi.

Com’erano, allora, i rom di Palermo? C’erano gli stratagemmi, i bambini che mendicavano, c’era qualche pagina di cronaca nera che li riguardava. Ma, in quel ghetto che avrebbe mortificato la dignità di chiunque, c’erano anche persone che combattevano, che cercavano una via d’uscita, uno slargo, un buco nella palizzata dell’altrui odio. C’erano madri che, la sera, spidocchiavano le figlie, le ripulivano, nonostante la magrezza delle risorse. E c’era chi piangeva per quelle bambine bellissime, rinchiuse in una prigione di rifiuti e fetori.

C’erano padri che, in mancanza dell’acqua corrente, si industriavano per presentare i figli decorosamente all’inizio dell’anno scolastico. E li lavavano, d’estate e d’inverno, all’ombra dei grandi silos. C’erano fantastici musicisti che tiravano fuori ogni tipo di strumenti fra gli stracci e ragazzi che studiavano per acchiappare il futuro.

E c’erano i topi, ma tanti che non sarebbero bastati cento pifferai magici per debellarli. Sicché, percorrendo lo sterrato, poteva capitare che ti guizzassero fra i piedi, ma senza paura alcuna: i padroni erano loro. E, in mancanza di servizi igienici, in certe giornate calde, l’olezzo nell’aria era lo stesso di una spaventosa maxi-latrina. E c’erano i ribaldi, i furbi, pure i razzisti nei confronti di altri rom. Ma c’erano tanti in lotta per migliorarsi e migliorare il contesto. Palermo non li amava, non li conosceva, non li praticava, se non per sentito maledire. 

Come sono adesso i rom di Palermo? Decisi passi di integrazione sono stati mossi, grazie alla sensibilità di tante anime generose che non si sono rassegnate alla segregazione. E qualcuno che non vuole apparire, perché l’abnegazione è sempre compagna del basso profilo, prova a raccontare qualche storia.

C’è una vicenda che arriva da lontano, il rom che, durante il terremoto dell’Aquila, sale sopra un furgoncino e con un compagno di strada comincia a distribuire viveri, coperte e altri generi utili agli sfollati. C’è il rom trentenne – torniamo a Palermo – che riesce a stabilirsi in un appartamento affittato dalla famiglia e lavora con impegno, si sposa, ha dei figli. Poi la situazione precipita. Entrano tutti in una baracca del campo, con addosso un sentimento di sconfitta. C’è la ragazza rom che sposa un palermitano, fugge dal recinto, trova un posto. Ora vivono entrambi in Germania. E sono felici.

E c’è il ragazzino rom che ferma, dopo un incontro a Villa Niscemi, quel giornalista di vent’anni fa, ormai cresciuto, perché vorrebbe diventare giornalista pure lui e pende dalle risposte, mentre gli occhi si dilatano come davanti a un sogno che si spalanca. E ci sono altri ragazzi che studiano, tra munnizza e topi, sui libri consigliati da valorosi professori, immaginando di scavalcare la palizzata dell’esclusione.

E ci sono stati, per lunghissimi anni di orrore, madri che spidocchiavano le figlie, padri che lavavano i figli con l’acqua dei silos: come condannati a soffrire nel campo della vergogna. Ha scritto, in una lettera per LiveSicilia.it, l’assessore alle Attività Sociali del Comune, Giuseppe Mattina: “Se ci lasceremo sopraffare dalle difficoltà e dalla paura non avremo speranza”. I rom rubano. I rom oziano. I rom sono parassiti. I rom amano i figli. I rom li mandano a scuola. I rom lottano. I rom lavorano, se riescono a lavorare. I rom aspirano a una vita dignitosa e sicura. Proprio come noi.


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI