PALERMO – Nella prima udienza del processo per l’omicidio di Emanuele Burgio, ucciso alla Vucciria di Palermo il 31 maggio dell’anno scorso uno degli imputati, Matteo Romano, ha rivolto le sue scuse alla famiglia per quanto successo e ha affermato di essere impazzito quella sera durante la discussione e di non aver compreso nulla di quanto stava accadendo e una volta preso la pistola ha iniziato a sparare. Del delitto oltre a Matteo sono imputati Domenico Romano e il figlio di quest’ultimo, Giovanni Battista, fermati dopo l’aggressione. Sono difesi dagli avvocati Raffaele Bonsignore, Vincenzo Giambruno e Giovanni Castronovo. Il processo si celebra davanti la prima sezione della Corte d’Assise presieduta dal giudice Sergio Gulotta. In aula i pm che hanno coordinato le indagini Giovanni Antoci e Gaspare Spedale.
Sono state rigettate dalla corte le richieste presentate dalla difesa di rito abbreviato e incostituzionalità della norma che vieta la possibilità di accedere al rito abbreviato per i soggetti imputati di omicidio volontario con premeditazione che prevede la pena dell’ergastolo.
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Emanuele Burgio, 25 anni, quando venne ucciso era imputato in un processo per droga. Lo smercio di sostanze stupefacenti, però, secondo il procuratore aggiunto Paolo Guido ed i sostituti Giovanni Antoci e Gaspare Spedale, che hanno coordinato le indagini, non avrebbe nulla a che vedere con l’omicidio, che sarebbe maturato al culmine di una serie di screzi.
Agli imputati viene comunque contestata l’aggravante mafiosa, in quanto il delitto – secondo l’accusa – sarebbe stato comunque eseguito con modalità e in un contesto prettamente legati a Cosa nostra. Ad incastrare gli imputati sono soprattutto le immagini riprese la sera del delitto: le telecamere avevano inquadrato lo scontro tra i Romano e Burgio.