Omicidio Chiappone, l'appello: da ergastolo a 24 anni a Tuccio - Live Sicilia

Omicidio Chiappone, l’appello: dall’ergastolo a 24 anni per Tuccio

Riformata in parte la sentenza di primo grado
IL PROCESSO
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CATANIA – 24 anni per Agatino Tuccio e 23 anni per Salvatore Di Mauro. La Corte di assise d’appello di Catania, presieduta da Elisabetta Messina, ha riformato in parte la sentenza pronunciata in primo grado per i due imputati, accusati dell’omicidio del 27enne Dario Chiappone, barbaramente ucciso a Riposto, con 18 coltellate, il 31ottobre del 2016. I giudici di primo grado avevano condannato Tuccio all’ergastolo, ritenendolo l’esecutore materiale del delitto e contestandogli l’aggravante della crudeltà. Quest’ultima è stata esclusa dalla Corte di assise d’appello che, probabilmente, ha ritenuto Tuccio complice, ma non esecutore dell’omicidio. Entro 90 giorni saranno depositate le motivazioni della sentenza. Confermata, invece, la condanna a 23 anni per Di Mauro, latitante.

“Allo stato non possiamo che essere soddisfatti della pronuncia della Corte di assise di appello che, in riforma della sentenza di primo grado, ha ridotto la pena dall’ergastolo ad anni 24 – commentano a caldo gli avvocati Enzo Iofrida e Vanessa Furnari, difensori di Agatino Tuccio – Attendiamo le motivazioni della sentenza per comprendere il percorso logico giuridico seguito dalla Corte”.

La requisitoria

Non vi sarebbero dubbi, secondo l’accusa, sulla presenza, la sera del 31 ottobre 2016, in via Salvemini a Riposto, luogo dell’efferato delitto di Dario Chiappone, di Agatino Tuccio. Per il sostituto procuratore generale Francesco Paolo Giordano, il 55enne pregiudicato giarrese ha sicuramente preso parte all’omicidio del 27enne. Ad inchiodarlo, innanzitutto, le impronte digitali rilevate dai Ris di Messina sulle buste di plastica, contenenti una grossa pietra, abbandonate dai killers sulla scena del crimine. Dalle immagini ricavate da un impianto di videosorveglianza, collocato lungo la via Salvemini, si vedrebbe chiaramente l’ingombrante involucro portato da uno dei due uomini, Tuccio secondo il sostituto procuratore generale, giunti per uccidere il giovane. Un masso che, probabilmente, doveva servire a rompere i cristalli dell’auto, qualora la coppia di fidanzati avesse avuto la prontezza di riflessi di chiudersi in auto. Gli esami dattiloscopici, dunque, collocherebbero Tuccio nel luogo del delitto.

Nulla cambierebbe, secondo l’accusa, anche rispetto all’aggravante della crudeltà, se a colpire con 18 fendenti al torace e alla gola di Dario Chiappone fosse stato Agatino Tuccio o se quest’ultimo avesse solo preso parte all’aggressione, impedendo comunque al giovane di difendersi ed aiutando il complice a sopraffarlo. Altri elementi di prova importanti emergono, sempre secondo l’accusa, dai tabulati telefonici. Convulsi i contatti con Salvatore Di Mauro, addirittura 165 nell’ottobre del 2016 sui complessivi 198 dell’intero anno. Di Mauro risulterà il proprietario dell’auto, una Ford Fiesta, usata dagli assassini per giungere in via Salvemini. Inequivocabili le tracce di sangue rinvenute sulla vettura, riconducibili proprio alla vittima.

I tabulati raccontano anche un’intensificazione dei contatti tra Agatino Tuccio e Paolo Censabella, quest’ultimo imputato in qualità di mandante dell’omicidio, nel secondo troncone dell’inchiesta che vede alla sbarra anche Antonino Marano, il killer delle carceri, ritenuto il terzo esecutore del delitto. Già condannato a 30 anni, con rito abbreviato, il coimputato Benedetto La Motta, referente del clan Santapaola a Riposto, e ritenuto anch’egli mandante dell’omicidio di Dario Chiappone. Alla base dell’efferato delitto ci sarebbero motivi di natura passionale ed economici.

Secondo il pg Francesco Paolo Giordano, le parole intercettate in carcere tra Antonino Marano e i propri familiari confermerebbero l’impianto accusatorio nei confronti di Agatino Tuccio. L’auto usata e le celle agganciate dal telefono, nel giorno e all’ora del delitto, confermerebbero la presenza di Salvatore Di Mauro in via Salvemini. L’uomo, sparito prima dell’arresto, avrebbe svolto il ruolo di palo e di autista. Al termine della lunga e articolata requisitoria il pg ha chiesto la conferma della sentenza di primo grado.

Le arringhe

La descrizione fisica fornita dall’unica testimone oculare del delitto, la donna che frequentava da alcune settimane la vittima, contrasterebbero con l’identità di Agatino Tuccio. Questo, secondo i legali Enzo Iofrida e Vanessa Furnari, sarebbe uno degli elementi che scagionerebbe il 55enne. Più volte, infatti, in sede di interrogatorio, la donna avrebbe riferito che uno dei due killers aveva gli occhi azzurri. Non solo. Secondo la difesa, le celle agganciate dal telefono di Tuccio sono compatibili con quelle della propria abitazione. Quella sera, secondo la ricostruzione del legale, l’uomo si trovava a casa. C’è poi un altro elemento ritenuto importante. L’esame approfondito del telefono cellulare di Paolo Censabella, ritenuto dall’accusa il mandante del delitto, avrebbe fatto emergere l’invio di una foto della vittima ad un misterioso destinatario. Secondo gli avvocati Iofrida e Furnari, quella foto non sarebbe mai stata inviata al proprio assistito, come invece ipotizzato dall’accusa.

Per Cristofero Alessi, difensore di Salvatore Di Mauro, il proprio assistito, latitante dal 2017, non sarebbe stato presente in via Salvemini la sera dell’omicidio di Dario Chiappone. Non c’è alcuna traccia che lo collochi sulla scena. La presenza dell’auto sulla scena non sarebbe sufficiente a determinare anche quella del Di Mauro. Secondo la difesa, anche qualora l’imputato si fosse trovato alla guida della vettura, portando i killers in via Salvemini, non c’è prova che il proprio assistito fosse consapevole di ciò che si stava compiendo.

I legali di parte civile, Angela Chiarenza in sostituzione di Michele Pansera, e Rosario Fabio Grasso, hanno chiesto la conferma della sentenza.


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