Ilardo, nome in codice "Oriente" |Cinque richieste di rinvio a giudizio - Live Sicilia

Ilardo, nome in codice “Oriente” |Cinque richieste di rinvio a giudizio

I presunti mandanti e killer del cugino del boss Piddu Madonia incastrati dalla Procura di Catania. Le accuse e i segreti dell'inchiesta.

L'inchiesta sull'omicidio
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CATANIA – E’ stato per quasi due decenni uno dei delitti di mafia rimasti irrisolti. Oggi l’omicidio di Luigi Ilardo, ucciso il 10 maggio 1996, per i pm Agata Santonocito e Pasquale Pacifico ha dei responsabili con dei nomi e cognomi. Concluse le indagini preliminari i due sostituti procuratori hanno depositato la richiesta di rinvio a giudizio per cinque elementi di spicco di Cosa Nostra: Giuseppe Madonia, Maurizio Zuccaro, Vincenzo Santapaola, Benedetto Cocimano e il collaboratore di giustizia Santo La Causa. I cinque indagati avrebbero ammazzato Ilardo proprio pochi giorni prima la data in cui sarebbe stata formalizzata la sua volontà a collaborare con la magistratura. Intenzione manifestata durante un incontro avvenuto a Roma Il 2 maggio 1996 davanti all’allora procuratore di Caltanissetta Giovanni Tinebra e ai pm Giancarlo Caselli e Teresa Principato.

Secondo la ricostruzione della procura Giuseppe Madonia e Vincenzo Santapaola avrebbero agito nel ruolo di mandanti, Maurizio Zuccaro e Santo La Causa in veste, invece, di organizzatori, Benedetto Cocimano avrebbe fatto parte del gruppo di fuoco (unitamente a Maurizio Signorino e Piero Giuffrida che sono deceduti). I sicari avrebbero esploso diversi colpi di pistola calibro 9 contro Luigi Ilardo, che muore proprio davanti la sua abitazione in via Quintino Sella.

Per i pm Santonocito e Pacifico i cinque avrebbero agito – si legge nella richiesta di rinvio a giudizio – “con premeditazione e per motivi abietti cioè al fine di punire Luigi Ilardo per aver svolto attività di confidente”. Gino Ilardo, infatti, era “l’infiltrato Oriente” del colonello dei Ros Michele Riccio, quello che avrebbe portato nel 1995 ad un passo dalla cattura di Bernardo Provenzano. Qualcosa, però, quel giorno non funzionò: l’incontro a Mezzojuso tra Binnu e Gino Ilardo è uno dei passaggi chiave del processo che in primo grado si è concluso con l’assoluzione degli ufficiali dei Ros Mori e Obinu. La procura ha depositato nella richiesta di rinvio a giudizio anche il verbale dell’interrogatorio di Riccio, che è stato ascoltato questa estate dai pm della procura di Catania.

I pm contestano ai cinque un’ulteriore aggravante, e cioè quella “di aver commesso il fatto al fine di agevolare l’associazione mafìosa denominata Cosa Nostra di cui i cinque indagati fanno parte ed avvalendosi delle condizioni di assoggettamento ed omertà derivanti dalla loro affiliazione al sodalizio mafioso”.

L’INCHIESTA – L’indagine sull’omicidio di Gino Ilardo è stata riaperta dalla procura di Catania circa due ann fa quando Eugenio Sturiale, collaboratore di giustizia, racconta di aver assistito all’omicidio del cugino del boss di Caltanissetta Giuseppe Piddu Madonia. Ilardo e Sturiale erano nel 1996 vicini di casa. Secondo la versione del pentito, quella notte Maurizio Signorino, Benedetto Cocimano e Piero Giuffrida erano nel luogo del delitto proprio nel momento in cui arrivò la Mercedes con a bordo Luigi Ilardo. Lo avrebbe visto scendere dalla macchina, poi per evitare di essere notato si sarebbe allontanato e in quel momento avrebbe sentito il rimbombo di sei colpi di pistola. Eugenio Sturiale aveva già raccontato le stesse cose quasi dieci anni prima – come emerge da un verbale del 2001 – al sottufficiale della Dia Mario Ravidà. Il fascicolo nel corso dei mesi si è arricchito di dichiarazioni di altri collaboratori di giustizia come Natale Di Raimondo, Calogero Pulci, Giovanni Brusca, Antonino Giuffrè e Carmelo Barbieri. Fondamentali anche le lettere e le fono registrazioni di Michele Riccio raccolte durante gli anni in cui Ilardo era confidente dell’ufficiale dei Ros. L’ultimo tassello lo fornisce Santo La Causa.

LA RICOSTRUZIONE DEI PM – L’ordine di uccidere Gino Ilardo sarebbe partito dal carcere direttamente da Piddu Madonia che avrebbe dato il mandato ai Santapaola. In quel periodo era in corso il processo Orsa Maggiore, l’accusa ipotizza che il boss di Caltanissetta e Enzo Santapaola (figlio di Salvatore, che fa da cerniera con l’esterno) sarebbero riusciti a comunicare durante le udienze. Il messaggio di uccidere sarebbe arrivato nelle mani di Santo La Causa, anche se Maurizio Zuccaro sarebbe stato già informato. L’ex reggente operativo del Clan Santapaola sarebbe stato coinvolto nell’organizzazione del delitto, tanto che avrebbe partecipato anche ad alcuni sopralluoghi, nella fase esecutiva però – come riferisce il collaboratore stesso – sarebbe stato improvvisamente scavalcato: “Scoprirò da Cucimano – dichiara ai Pm – che il lavoro era stato già fatto”. Un’accelerazione improvvisa, quasi ingiustificata a sentire La Causa. Per i sostituti Santonocito e Pacifico i mandanti avrebbero scoperto che Ilardo era in procinto di collaborare con la magistratura e per questo lo hanno ammazzato, organizzando il delitto in pochi giorni. Una ricostruzione che ha convinto il Gip Marina Rizza che, lo scorso giugno, ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare.

L’ORDINE DI ARRESTO  – L’ordinanza del Gip è stata eseguita dalla Squadra Mobile di Catania nei confronti di Giuseppe Madonia, 67 anni (detenuto in regime di 41 bis), Maurizio Zuccaro, 52 anni, e Orazio Benedetto Cocimano, 49 anni. Il Gip aveva rigettato la richiesta di misura cautelare per Enzo Santapaola (figlio di Salvatore e detenuto al 41 bis): la Procura ha presentato su questa posizione ricorso al Tribunale del Riesame, che lo ha accolto.

I MANDANTI OCCULTI – Presi i presunti mandanti e killer che uccisero Gino Ilardo la procura di Catania, guidata da Giovanni Salvi, ha aperto un fascicolo per identificare chi avesse permesso “quello spiffero” (come lo ha definito il collaboratore Giovanni Brusca) che informò Cosa Nostra che il cugino di Piddu Madonia, non solo “era uno “sbirro” ma presto sarebbe diventato collaboratore di giustizia. L’inchiesta potrebbe portare a scavare in quella “zona grigia” che legherebbe Stato e mafia. Leggendo l’ordinanza emessa da Marina Rizza si aprono squarci proprio verso questa direzione: si ipotizza con una  “logica ineludibile” che l’uccisione del confidente Ilardo “era stata posta in essere per evitare che iniziasse a collaborare con la giustizia” e che di questa sua intenzione “erano stati informati i suoi mandanti”, tanto che il delitto viene “progettato e eseguito in un ristrettissimo arco temporale”.

 


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