L'omicidio Mazzè, omertà spezzata | Un "figlio" dello Zen investigatore - Live Sicilia

L’omicidio Mazzè, omertà spezzata | Un “figlio” dello Zen investigatore

A sinistra, Franco Mazze. A destra Stefano e Gaetano Biondo

Gli uomini della Squadra mobile di Palermo hanno raccolto una serie di elementi, trovando una conferma inaspettata. Nessuno poteva immaginare che il figlio della vittima decidesse di indagare per le strade del quartiere.

PALERMO – Quartiere Zen. Periferia di Palermo. La voglia di giustizia si fa avanti in un rione dove, scrivono i giudici, “si conferma il desolante clima di omertà”. Ecco perché la storia del figlio di un morto ammazzato diventa dirompente.

Ieri sono finiti in manette i fratelli Stefano e Gaetano Biondo, accusati di avere assassinato Franco Mazzè assieme a Fabio Chianchiano, reo confesso del delitto della domenica delle Palme. Gli uomini della Squadra mobile hanno raccolto una serie di elementi, trovando una conferma inaspettata. Nessuno poteva immaginare che il figlio di Mazzè decidesse di vestire i panni – scomodissimi per uno che vive nel quartiere e porta il suo cognome – di investigatore. Ha sentito testimoni. Ne ha raccolto le voci usando il telefonino come registratore. E quando è stato convocato dai pubblici ministeri ha consegnato le prove, le sue prove.

A cominciare dal movente del delitto, frutto di vecchi dissapori. Mazzè avrebbe potuto morire dieci anni fa per mano dello stesso Chianchiano. Una storia di fidanzamenti incrociati degenerò in violenza. Prima Mazzè spezzò il braccio a Chianchiano che l’aveva appellato “cornuto e sbirro”. Poi, Chianchiano reagì sparando dei colpi di pistola contro il rivale mentre era in sella ad una moto guidata da un complice. Vecchi dissapori divennero nel tempo scontro aperto per la gestione degli affari sporchi nel rione quando entrambi i contendenti furono assoldati da Cosa nostra. Per un po’ sono rimasti sopiti grazie alla mediazione di altri pezzi grossi.

Fino a marzo scorso, alla lite nel bar e all’agguato. Le testimonianze raccolte dal figlio di Mazzè fra residenti e ambulanti hanno confermato gli esiti delle indagini. Si è scoperto che il gruppo di fuoco era composto da due macchine, una “Punto Grigia” e una “Panda Blu” e non da un solo mezzo come inizialmente ipotizzato. Che a bordo ci sarebbero stati Fabio Chianchiano, Stefano e Gaetano Biondo, ma anche Pietro Salamone e Umberto Biondo (membro della stessa famiglia). Per questi due ultimi indagati il giudice per le indagini preliminari Luigi Petrucci ha, però, respinto la richiesta di arresto avanzata dai pm Calogero Ferrara e Sergio Barbiera. Solo nel loro caso servono ulteriori riscontri.


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