“Dai Forza Italia, che siamo tantissimi”, ripetevano gli altoparlanti. Erano gli anni Novanta, quasi Duemila. Nelle terrazze davanti al mare, tra un cocktail e una strategia, nuove generazioni politiche (ma nemmeno tanto) si godevano il fresco e pregustavano un futuro, già presente, di conquiste. Elementi scenici a tignitè. La voce suadente di Silvio. La camicia bianca di ordinanza, sui jeans. Un che di spigliato e di sfrontato. Ma soprattutto quel domani da assaporare, cominciando dall’oggi. E c’erano, nel mazzo delle risorse azzurre, i due ‘Ciccio’: Francesco Cascio e Francesco Scoma. Sembravano gemelli diversi. Ognuno con la sua identità, eppure simbolicamente sovrapponibili, dalla pettinatura al piglio. Le malelingue sostengono che nemmeno allora si amassero, perché le ambizioni di chiunque sono desinate a scontrarsi sul campo da gioco.
Ora, i due ‘gemelli’ sono arrivati, forse per contrappasso, alla disfida. Il primo (Cascio) è il candidato di Forza Italia per le comunali di Palermo 2022, con vista su Palazzo delle Aquile. Il secondo (Scoma) corre sotto le insegne della Lega. Siamo alle schermaglie intermedie della baruffa elettorale. Dunque, non sappiamo se saranno in lizza entrambi, uno o nessuno. Ma la scomposizione dice molto sui tempi presenti, tendenti alla maionese impazzita. E pure su quelli passati.
Diego Cammarata, già sindaco forzista di Palermo, ‘i due Ciccio’ li ha conosciuti benissimo. E perfino adesso, mentre dalla visuale della sua vita privata osserva il caos delle candidature – supponiamo con annessa confezione di popcorn – non lesina un parere, per così dire, ‘professionale’. Parliamo, esclusivamente, di recinto politico, secondo simpatie o antipatie. Siamo, cioè, nel perimetro della massima opinabilità.
“Cascio e Scoma? Sono diversi, anche se a qualcuno possono sembrare politicamente vicini, in comune hanno solo il nome – dice Cammarata -. Francesco Cascio è una persona apparentemente più rigida, ma capace, a tratti un po’ spigolosa, ma leale e ha un grande merito: quando ha smesso con la politica è tornato a fare il medico con dedizione e passione. Francesco Scoma è forse più accomodante ma talvolta meno decifrabile. Non so comunque se a entrambi augurerei di diventare sindaco. Non hanno probabilmente idea del disastro che dovrebbero gestire. Temo che quello che si vede sia solo una parte della catastrofe di Palermo”.
Sul punto politico l’ex sindaco taglia carne e ossa: “Io non penso che ci sia qualcuno sano di mente che possa volere fare il sindaco di Palermo a cuor leggero. Le macerie che dovrà affrontare il primo cittadino del dopo Orlando sono terribili, la casa brucia. Non ci sono più soldi ed i sacrifici che si dovranno chiedere ai cittadini sono insopportabili. A Orlando lasciai un avanzo di 23 milioni, lui al suo successore lascia il Comune al dissesto”.
Opinioni, sì. Che attraversano la contingenza per ricordare, pure su sponde opposte, le battaglie di ieri, con annesse speranze. Ecco il dato che appare più terrificante. Palermo non ci crede più. La sua speranza è una nostalgia in bianco e nero. Nel frattempo, sulla scena, si celebra la grande liturgia dei rancori.
Così si sfoglia l’album e si annotano – lo sguardo è al contesto – storie politiche in chiaroscuro, rivendicazioni multiple e chiunque può narrare la sua parte nel dramma, perché, pensando a Palermo, ci sarebbe soltanto un’altra parola: tragedia. Niente sembra così vacuo come la fisionomia di una città di reduci e sopravvissuti. E ci sono state quelle terrazze sul mare o in montagna, contrapposte, di truppe avversarie e belligeranti. Che avevano in comune, a torto o a ragione, un’idea del futuro. Pare che sia finita malissimo per tutti. C’è qualcuno che può specchiarsi da innocente?