Palermo, cella piccola, spioncino in bagno. Il boss chiedeva i danni

Cella piccola, spioncino in bagno, acqua fredda. Il boss chiedeva i danni

Rosario Lo Bue
Respinto il reclamo di Rosario Lo Bue

PALERMO – Niente risarcimento danni per il boss Rosario Lo Bue. L’anziano mafioso di Corleone riteneva di avere subito un trattamento carcerario disumano a Palermo Pagliarelli, Tolmezzo, L’Aquila e Milano Opera. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso stabilendo che il Tribunale di sorveglianza di Milano ha fatto bene a respingere il reclamo del detenuto.

Lo Bue, 70 anni, protestava per le dimensioni della cella, la carenza di acqua calda, la mancanza di interruttori per accendere e spegnere la luce, la presenza dello spioncino nel bagno, l’assenza di una separazione tra il locale bagno e il resto della cella.

Le direzione degli istituti di pena convolti hanno risposo con delle relazioni in cui spiegano che Lo Bue, detenuto al 41 bis, occupa una cella di 10 metri quadrati, che le celle hanno annesso un bagno che contiene lavabo, wc, doccia, acqua corrente calda e fredda; che una porta garantisce la privacy e ci sono interruttori e di una finestra “sufficientemente ampia e che garantisce il giusto apporto di luce naturale e la giusta areazione”:

Ed ancora che “al detenuto è garantita un’adeguata assistenza sanitaria essendo disponibile un servizio di guardia medica sia durante il giorno che durante la notte”, che il detenuto “fruisce di due ore di permanenza all’aperto dove accede con gruppi di socialità non superiori ai quattro partecipanti”.

Lo Bue faceva il pastore. Incontrava i suoi uomini in campagna mentre pascolava gli animali e predicava la pace in nome di Dio. Rosario Lo Bue è fratello di Calogero Giuseppe, arrestato nell’aprile del 2006 perché era uno dei “vivandieri” di Bernardo Provenzano. Nei guai Rosario c’era finito la prima volta nel 1997, anche lui per avere aiutato il padrino a nascondersi. Ed arrivò la prima condanna per mafia.

Nel 2008, nei giorni del maxi blitz Perseo, la sua figura emergeva con prepotenza. Nel tentativo di ricostruire la cupola a Corleone avevano deciso di schierarsi al fianco dei boss di Palermo. I “viddani” scendevano a patti con i palermitani che tre decenni prima Riina e Provenzano avevano spodestato con il piombo. Solo che le intercettazioni furono dichiarate nulle per un vizio formale. Poi, nel 2016, il nuovo arresto e la condanna a 12 anni divenuta definitiva nel 2019.


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