Palermo, i Fontana assolti: "Defilati sì, ma sempre capimafia"

Palermo, i Fontana assolti: “Defilati, ma sempre capimafia”

I fratelli Fontana
Appello della Procura contro la sentenza che ha scagionato i fratelli dell'Acquasanta

PALERMO – Defilati sì, ma pur sempre capi. I fratelli Gaetano e Giovanni Fontana hanno mantenuto il potere mafioso nel rione Acquasanta di Palermo. Ne sono convinti i pubblici ministeri che hanno appellato l’assoluzione. In primo grado sono stati assolti anche un altro fratello, Angelo, la sorella Rita e la madre Angela Teresi (per loro non c’è appello della Procura). La sentenza è stata messa lo scorso ottobre. Agli altri imputati state inflitte pesanti condanne.

Lo scontro fra boss

Secondo i giudici di primo grado, i Fontana avrebbero smarrito il controllo del territorio e si sarebbero limitati a conservare un sistema di attività di provenienza illecita frutto degli investimenti del padre, il capomafia Stefano, oggi deceduto. Dal caffè ai gioielli. I Fontana “hanno abbandonato Palermo e non vi sarebbe spazio per il teorema della perdurante egemonia dei Fontana nel territorio dell’Acquasanta”.

Lo dimostrerebbe il fatto che il potere sarebbe passato nelle mani del cugino, Giovanni Ferrante, divenuto collaboratore di giustizia e ritenuto “attendibile”. Anche Gaetano Fontana ha fatto delle dichiarazioni, ma è stato accusato di avere sminuito il suo attuale ruolo mafioso. Nel faccia a faccia fra i due volarono insulti: “Buffone”, “munnizza”

Possibile diarchia

I pubblici ministeri Giovanni Antoci e Maria Rosaria Perricone ritengono che in maniera erronea sia stata “esclusa la possibilità di una diarchia, una coesistenza all’interno della medesima compagine mafiosa di due gruppi, i Fontana e i Ferrante”. Ed invece “in Cosa Nostra hanno sempre coesistito correnti e fazioni contrapposte che non sono sempre giunte a sanguinosi conflitti”.

Ed ancora: “Alcuni soggetti possono aderire alla consorteria mafiosa non già direttamente in vista del compimento dell’attività delinquenziale, bensì soltanto per partecipare alla suddivisione dei profitti ovvero per realizzare una duratura supremazia territoriale su ogni genere di attività, offrendo in modo stabile un contributo per il mantenimento in vita all’associazione ed ottenendone in cambio vantaggi di vario genere”.

Non si tratta, secondo i pubblici ministeri, di accertare la partecipazione dei Fontana a Cosa Nostra, “già dimostrata sino al mese di gennaio 2008”, bensì di verificare il “persistente inserimento nel tessuto organizzativo di Cosa Nostra anche in epoca successiva a lungo periodo oggetto delle ripetute sentenze irrevocabili”.

Si esce da Cosa Nostra da morti o pentendosi

Esiste una regola mafia: “Il legame di un associato, ancor di più il perdurante legame di un capo per diversi decenni può essere interrotto soltanto dalla morte o dalla collaborazione con l’autorità giudiziaria”. Ciò però non basta per arrivare a una condanna. L’accusa ritiene però che le prove raccolte nel processo di primo grado abbiano confermato che “Gaetano Fontana con il fondamentale aiuto del fratello Giovanni, lungi da rescindere risalenti profondi e radicati legami con il sodalizio mafioso e rinunciare ad esercitare il suo indiscusso e irrinunciabile ruolo apicale, ha a esercitato funzioni di comando all’interno della famiglia mafiosa per poi assumere una posizione meno appariscente ma comunque sicuramente influente e temuta a seguito dell’assunzione della reggenza della medesima famiglia mafiosa da parte il cugino e rivale Ferrante Giovanni”.


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