Galvagno, il dibattito 'surreale'

Galvagno in aula all’Ars, il “surreale” dibattito fra mea culpa e preghiere

Il dibattito, le parole di Galvagno VIDEO
PALAZZO DEI NORMANNI
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4 min di lettura

PALERMO – Al “contaparole” vince per distacco “surreale”. È il termine maggiormente usato, con dei distinguo, dai deputati all’Ars nel giorno in cui il suo presidente, Gaetano Galvagno, comunica al parlamento di essere indagato per corruzione.

Nessun passo indietro, anzi arrivano i “due passi avanti” che i partiti della maggioranza di centrodestra gli hanno chiesto nella conferenza dei capigruppo che ha preceduto il dibattito.

“Non è un palcoscenico”

“Non intendo usare il parlamento come palcoscenico”, dice Galvagno in apertura. “Non voglio avere più diritti degli altri cittadini – aggiunge – andrò avanti con la mia difesa tecnica” davanti alla magistratura. Galvagno, però, prova a sgombrare il campo da ogni sospetto: “Mai messa la mia funzione a disposizione di interessi personali ma sempre per il bene comune”.

Lo dice con una voce che tradisce segni di affanno. È il presidente dell’Ars e resta tale. Perché è certo della sua innocenza, dice, e prima ancora per rispetto della Costituzione. Toglie i colleghi dall’imbarazzo lasciando lo scranno di presidente della seduta a Nuccio Di Paola, accomodandosi assieme ai colleghi di Fratelli d’Italia e del centrodestra. È la pattuglia più numerosa fra i circa 50 onorevoli presenti.

Galvagno avrebbe potuto limitarsi alle sole comunicazioni ed invece sceglie di aprire il dibattito a tutti coloro che chiedono di intervenire. Non era obbligato a farlo e il suo gesto viene apprezzato.

Toni pacati

È un’aula garantista e pacata nei toni, anche in quelli più accesi. Gli estremi sono il “lei dovrebbe autosospendersi e in caso di rinvio a giudizio dimettersi” di Ismaele La Vardera e la “preghiera per l’uomo Galvagno” che Cateno De Luca si impegna a fare d’ora innanzi immedesimandosi nel dramma umano del presidente che gli ricorda il suo, “arrestato, processato diciotto volto e assolto”.

“Surreale” accomuna maggioranza e opposizione. Lo è il clima secondo coloro (Giorgio Assenza che fa parte dello stesso partito di Galvagno, Fratelli d’Italia, Geremia Lombardo dei Popolari e autonomisti, Salvo Geraci della Lega, Carmelo Pace della Dc, Stefano Pellegrino di Forza Italia) che rinnovano “stima e fiducia” a Galvagno.

Surreale è il dibattito per Gianfranco Micciché. Fosse stato per lui Galvagno neppure avrebbe dovuto presentarsi in aula per discutere su argomenti che nessuno conosce, neppure l’indagato.

L’iper-garantista Micciché mette sul piatto un “suggerimento” per non rendere inutile la seduta. “Prima le leggi finanziarie si facevano in commissione bilancio – spiega -, potevano partecipare tutti. Faccio mea culpa, è un errore che non ha commesso solo Galvagno ma abbiamo commesso tutti”.

Il riferimento è ai maxi emendamenti last minute in cui ci finisce dentro di tutto di più. Compresi i contributi ad enti e associazioni. Altro non è che il terreno su cui, secondo le ipotesi contestate a Galvagno, si sarebbe giocata la partita della corruzione. In cambio dell’approvazione e dei relativi contributi il presidente dell’Ars e persone a lui vicine avrebbero ottenuto delle utilità.

Forse è anche per questo che i toni restano pacati. Nessuno (o quasi) sa di potersi tirare fuori dal sistema dei contributi a pioggia, tratto distintivo della politica siciliana e della logica da orticello elettorale da coltivare. Certo è cosa ben diversa quando si sconfina nel penalmente rilevante, ma il sistema sembra creato apposta per sfociare nelle distorsioni.

Antonino De Luca del Movimento 5 stelle propone di “abbandonare la logica del maxi emendamento, diamo un segnale”. “In un momento in cui si lavora a disegni di legge e variazioni di bilancio – spiega – serve serenità. Galvagno deve fare le sue riflessioni, non parlo di dimissioni”.

“Un contesto di degrado”

Non chiede le dimissioni neppure Antonello Cracolici che sposta il dibattito sul piano politico. Emerge “un contesto di degrado al di là delle responsabilità penali. La politica non può girarsi dall’altra faccia. Interroghiamoci su cosa sia la politica oggi. Schifani non può nascondersi…”.

La bordata è diretta a Fratelli d’Italia che “governa la corrente turistica in Sicilia e in Italia” attraversata da inchieste e scandali. “Un momento politicamente pericoloso”, segnato da “una questione etica e morale da difendere” secondo La Vardera, che chiede al presidente Renato Schifani “un sussulto per dignità”. Non può bastare, ha ricordato Michele Catanzaro del Pd, che il governatore “ha cambiato gli assessori ma è rimasto lo stesso partito”.

Il riferimento è allo scambio di deleghe deciso nei mesi scorsi fra Francesco Paolo Scarpinato ed Elvira Amata. Quest’ultima non è presente in aula. Ieri ha saputo di essere indagata. Ci sono il governatore Schifani e gli altri assessori. Compresi Alessandro Aricò e Giusi Savarino di Fratelli d’Italia. Un segno di fiducia nei confronti del presidente dell’Ars e di compattezza della maggioranza. Nei corridoi l’abbraccio intenso fra il governatore e Galvagno.


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