Mafia, non solo droga e pizzo: a Porta Nuova controllano i voti - Live Sicilia

Mafia, non solo droga e pizzo: a Porta Nuova controllano il voto

Il boss pensava di fuggire prima di essere ucciso

Associazione mafiosa, estorsioni, traffico e spaccio di droga ma anche reati elettorali. C’è un capitolo del blitz dei carabinieri del Nucleo investigativo che ha colpito nella notte il mandamento di Porta Nuova sul “condizionamento del voto”. GUARDA IL VIDEO DELL’USCITA DEGLI ARRESTATI DALLA CASERMA

I boss avrebbero procurato preferenze elettorali per alcuni candidati. Di più al momento non trapela, ma gli investigatori hanno già in mano del materiale per parlare di pesante inquinamento della tornata elettorale. È facile ipotizzare che ci si riferisca alle comunali di poche settimane fa.

Il capo mafia indiscusso a Porta Nuova era Tommaso Lo Presti. Tutti lo chiamano “il lungo” per distinguerlo da un parente soprannominato “il pacchione”.

Era ritornato al potere subito dopo la scarcerazione avvenuta per fine pena nei primi mesi del 2020.

Per un anno a sobbarcarsi il lavoro direttivo e organizzativo del mandamento sarebbero stati Giuseppe Di Giovanni e Giuseppe Incontrera. Quest’ultimo, che faceva anche da cassiere (aiutato da Giuseppe Autieri) per il clan, è l’uomo crivellato i colpi giovedì scorso alla Zisa.

A metà maggio scorso i poliziotti della squadra mobile hanno intercettato quella che probabilmente era la sua intenzione di fuggire all’arresto. Aveva intuito che gli stavano addosso. È rimasto in città.
Non poteva certo immaginare che pochi giorni dopo Salvatore Fernandez gli sparasse tre colpi di calibro 22.

Aveva sentito puzza di bruciato anche Di Giovanni che alla moglie, il 19 maggio scorso, spiegava che “stasera ci dobbiamo coricare là… ci vado solo io… tranquilla… pure a me dispiace ma che ci possiamo fare”.

Anche lui probabilmente si preparava alla fuga. Una fuga non riuscita per il fratello dei capi mafia detenuti Tommaso e Gregorio.

C’è un altro nome noto alle cronache nel fermo disposto dal procuratore aggiunto Paolo Guido e dai sostituti Giuseppe Antoci, Luisa Bettiol e Gaspare Spedale. Si tratta di Calogero Lo Presti, che per tutti a Porta Nuova è “lo zio Pietro”.

Partendo dal suo nome era stata chiamata “Pedro” l’operazione che lo aveva portato in carcere. In una stalla Calogero Lo Presti aveva impiantato la sua base operativa. Finita di scontare la pena sarebbe tornato in pista.

I soldi si fanno soprattutto con la droga. C’era un servizio per i clienti attivo h24 che sarebbe stato gestito da Roberto Verdone.

Nicolò Di Michele e Salvatore Incontrera (figlio dell’uomo assassinato alla Zisa) si sarebbero occupati del settore degli stupefacenti, il più redditizio per il clan.

In ognuna delle piazze principali di spaccio sarebbe stato individuato un capo: Giuseppe Giunta e Andrea Damiano al Capo e a Ballarò, Gioacchino Pispicia in via Cipressi, Leonardo Marino alla Vucciria, Antonino e Giorgio Stassi in via Regina Bianca.

Tutti gli altri si davano un gran da fare fra droga ed estorsioni. Il modus operandi per imporre il pizzo è quello di sempre fatto di mezze parole e minacce esplicite.

Il tariffario varia. Si va dai 150 euro a settimana imposti al titolare di una tabaccheria ai 2000 chiesti all’imprenditore edile che stava ristrutturando un’abitazione o ai mille euro pagati dal titolare di un ristorante.

Poi ci sono le rapine per finanziare le casse della Costa: dai 14.000 euro razziati in un’agenzia di scommesse ai 5.000 del valore delle biciclette rubate in un negozio.


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