Palermo, omicidi, pentiti e misteri: quando il boss Corona prese la parola

Omicidi, pentiti e bugie: quando il boss Corona prese la parola

In un recente processo chiese di fare lunghe dichiarazioni spontanee
Corona pedinato dai finanzieri

Alcuni ricordi di Corona sono sono legati a fatti di sangue: “… questi sono stati tutti coinvolti nell’omicidio di Onorato, di Agostino Onorato, quel ragazzo che aveva… offesa e lo hanno ammazzato, e questi ragazzi che si stavano vedendo la partita a casa di Stefano Galatolo, perché Stefano Galatolo è sposato con Giusy Canfarotta, allora erano fidanzati, l’unico sposato ero io di questa comitiva si può dire, il sabato sera siamo usciti, c’è stato un diverbio fra noi ragazzi, insomma noi amici, sto parlando quando è successo l’omicidio di questo nel ’95 se non sbaglio, e l’unico… la domenica sera c’era la partita della Juventus, ci dovevamo vedere la partita a casa di Galatolo Stefano, ma io non ci sono andato come non ci è andato Tony Trapani, come non ci è andato… e c’erano solo i cugini, e questi ragazzi hanno avuto, sono stati condannati tra le altre cose, hanno avuto una colpa sola, di andare a vedere la partita a casa di Stefano Galatolo, Stefano Galatolo non c’entra niente con l’omicidio, per questo il padre ha parlato al colloquio, vero è, stu fattu che ha parlato al colloquio e l’ha fatto apposta a parlare del colloquio è saputo e risaputo, ma Stefano Galatolo nell’omicidio non c’entra niente, so che è stato condannato, io ero in galera”.

Corona dimostra di conoscere bene la storia del delitto del nipote del pentito Francesco Onorato, dietro cui si disse che c’era uno sgarbo subito da una ragazza. Ci sono dei particolari su cui Corona sembra volutamente non entrare nel merito: “Ripeto a dire taglio carne e ossa, c’è stato chi gli ha detto che glielo lasciava là, ha detto ‘o mi aiuti o tu lassu cà’, te lo lascio qua, una cosa giusta, una cosa onesta a farici pigghiari a condanna ai cristiani. Va bene, non di meno a questo, signor presidente, e io conoscevo… Gaetano già lo conoscevo, Angelo Fontana lo conosco in questa occasione appunto di Tony Trapani, il negozio e cose varie”.

Altro affondo contro l’aspirante collaboratore di giustizia: “Gaetano Fontana, insomma dice che è collaboratore di giustizia, vuole fare il collaboratore di giustizia, ma deve dire la verità, non è che deve dire le cose che gli convengono, deve dire la verità, perché la verità fa bene sia per lui e per tutti, magari rinfresca l’anima a qualcuno che non c’è più, a qualcuno che insomma… magari qualcuno è in carcere con l’ergastolo e sta pagando una cosa che non ha fatto, che non ha commesso, e lui lo può sapere, lo può sapere lui. Lo incontro e gli dico ‘guarda, avevo pensato di fare un’agenzia qua tra via Ammiraglio Rizzo e via don Orione’, e dice ‘sì, qua c’è un magazzino accanto a Gammicchia”, Gammicchia è in via Ruggero Marturano… dice ‘però c’è qualche carcerato’, c’era suo zio Angelo Fontana, è l’unico dei Fontana che non conosco, mille euro’, ‘hai affitto?’, ‘no, è un carcerato’, e ci ho detto ‘va beh, poi ti faccio sapere’ e me ne sono andato. Sinceramente sta cosa mi tormentava perché dicevo ma, scusa, io sono un carcerato e questo mi sta dicendo che praticamente io per aprire un’agenzia qua gli devo dare mille euro?”.

Poco tempo dopo una notizia sconvolge il clan: “Comunque dopo tre, quattro mesi suo zio si è pentito e ha detto le cose per come gli convenivano a lui, perché un particolare eclatante la collaborazione di suo zio Angelo Fontana l’americano e dice che aveva partecipato all’attentato del giudice Falcone, ma si dà la fatalità che Angelo Fontana l’americano era in America, aveva la firma, doveva andare a firmare, era sorvegliato speciale in America, e lui aveva dichiarato che era là a fare l’attentato insieme ad Angelo Galatolo figlio di Pino e altri, ma questa è praticamente una prova schiacciante, che pur di ottenere la collaborazione, il pentimento, i benefici di Stato, si vendono l’anima, l’anima se la vendono, se la vendono l’anima, non guardano in faccia a nessuno”.

Angelo Fontana, pentito ed ex mafioso dell’Acquasanta, a colloquio coi pm di Caltanissetta, dichiarò di essersi inventato tutto sul fallito attentato al giudice palermitano del 21 giugno 1989. Quando affermò di aver partecipato alla preparazione del colpo in realtà si trovava negli Stati Uniti con obbligo di firma”.


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