Palermo, l'assassino: "Ero impazzito, chiedo scusa ai Burgio"

Palermo, l’assassino: “Ero impazzito, chiedo scusa ai Burgio”

Al via il processo per l'omicidio della Vucciria. Dichiarazioni di uno degli imputati

Uno degli imputati chiede la parola. Matteo Romano fa dichiarazioni spontanee. Chiede scusa alla famiglia di Emanuele Burgio, l’uomo che ha assassinato Emanuele Burgio alla Vucciria. Dice di avere perso la testa quella sera. Era “impazzito” per la lite avuta con la vittima. Ha preso la pistola e ha fatto fuoco.

Una ricostruzione che cozza con quella dei pubblici ministeri Giovanni Antoci e Gaspare Spedale, secondo cui si è trattato di un omicidio premeditato.

Sotto processo davanti alla Corte di assise presieduta da Sergio Gulotta ci sono Matteo, Giovan Battista e Domenico Romano. Matteo Romano avrebbe fatto fuoco contro la vittima, un anno fa alla Vucciria; il nipote Giovan Battista gli avrebbe passato l’arma; mentre il padre di quest’ultimo, Domenico, avrebbe inseguito Burgio mente tentata una fuga disperata (guarda il film dell’agguato).

La Corte ha respinto la richiesta dei legali della difesa, gli avvocati Raffaele Bonsignore, Vincenzo Giambruno e Giovanni Castronovo, avevano chiesto di accedere al rito abbreviato o in subordine di valutare l’incostituzionalità della norma che vieta di accedere a riti alternativi per reati punibili con l’ergastolo.

Secondo la difesa, non sussisterebbero le aggravanti della premeditazione e del metodo mafioso. Dietro il delitto ci sarebbero i contrasti per la gestione di una piazza di spaccio.

Livesicilia ha svelato che prima che Emanuele Burgio venisse assassinato a colpi di pistola, alla Vucciria, qualcun altro ha rischiato di morire per mano di coloro che sono sotto processo per l’omicidio.

La sera del 1° novembre del 2020 le telecamere di videosorveglianza piazzate a Borgo Vecchio hanno immortalato Domenico Romano che, pistola in pugno, insieme al figlio Giovan Battista e al fratello Matteo, rincorrevano a piedi un gruppo di ragazzi della Zisa.

Nel mirino erano finiti Salvatore Incontrera (figlio di Giuseppe, il boss di Porta Nuova assassinato lo scorso 30 giugno) e Nicolò Di Michele. Rimasero vivi per miracolo.


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