Palermo, più di 30 condanne: verdetto ribaltato per i fratelli Fontana

Mafia, più di 30 condanne: verdetto ribaltato per i fratelli Fontana

Sotto processo boss e gregari dell'Acquasanta

PALERMO – Il verdetto ribalta la posizione dei fratelli Giovanni e Gaetano Fontana. Assolti in primo grado, condannati in appello per mafia.

Sarebbero tornati a contendersi il potere mafioso con i Ferrante, che con i Fontana sono imparentati. Confermata l’assoluzione del terzo fratello, Angelo. Non sono le uniche novità del verdetto emesso dalla Corte presieduta da Vittorio Anania.

Il maxiblitz dei finanzieri del Nucleo speciale di polizia valutaria nel 2020 portò in carcere, tra gli altri, l’intero nucleo familiare dei Fontana.

I fratelli Fontana sono figli di Stefano, reggente della famiglia dell’Acquasanta e oggi deceduto, che aveva passato il bastone del comando a Gaetano. Dal 2010, dopo avere finito di scontare una condanna per mafia, era sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno a Milano. La Procura di Palermo aveva tratteggiato il suo ritorno al potere. Il giudice di primo grado non ha accolto questa ricostruzione.

Solo la motivazione chiarirà se i giudici di appello hanno ritenuto che Gaetano Fontana fosse tornato a ricoprire un ruolo di vertice oppure di semplice associato.

Alleati, cugini ma anche pronti a sfidarsi. Le due famiglie erano arrivate ai ferri corti, se è vero quello che alcuni affiliati del clan consegnarono, senza saperlo, alle microspie dei finanzieri. Il padre di Gaetano aveva convocato Ferrante per rimproveralo: “… c’era Giovanni che era tramutato… quello in ginocchio si ci è messo… lo zio Stefano… e piangeva ‘perdono’… gli fa dice: ‘Alzati… alzati”.

Secondo i giudici di primo grado, i Fontana avrebbero perso il controllo del territorio e si sarebbero limitati a preservare un sistema di attività illecite frutto degli investimenti del padre: dal caffè ai gioielli. I Fontana “hanno abbandonato Palermo e non vi sarebbe spazio per il teorema della perdurante egemonia dei Fontana nel territorio dell’Acquasanta”, si leggeva nella motivazione.

La tesi dell’accusa

I pubblici ministeri Giovanni Antoci e Maria Rosaria Perricone impugnarono la sentenza. La Corte avrebbe sbagliato “escludemdo la possibilità di una diarchia, una coesistenza all’interno della medesima compagine mafiosa di due gruppi, i Fontana e i Ferrante”. Ed invece “in Cosa Nostra hanno sempre coesistito correnti e fazioni contrapposte che non sono sempre giunte a sanguinosi conflitti”.

Esisteva ed esiste una regola mafiosa: “Il legame di un associato, ancor di più il perdurante legame di un capo per diversi decenni può essere interrotto soltanto dalla morte o dalla collaborazione con l’autorità giudiziaria”.

Il ruolo dei fratelli

L’accusa riteneva che le prove raccolte nel processo di primo grado avessero confermato che “Gaetano Fontana con il fondamentale aiuto del fratello Giovanni ha esercitato funzioni di comando all’interno della famiglia mafiosa per poi assumere una posizione meno appariscente ma comunque sicuramente influente e temuta a seguito dell’assunzione della reggenza della medesima famiglia mafiosa da parte il cugino e rivale Ferrante Giovanni”.

Gli imputati condannati e le pene

Ecco l’elenco completo delle condanne: Sergio Napolitano 12 anni, Pietro Abbagnato 3 anni (confermato), Fabrizio Basile 12 anni (confermata), Cristian Ammirata 1 anno e 10 mesi (1 anno, 6 mesi e 20 giorni), Giulio Biondo 8 anni e 3 mesi (era stato assolto) Fabio Chiarello 4 anni, 10 mesi e 20 giorni (confermata), Salvatore Ciampallari 4 anni, 10 mesi e 20 giorni (confermata).

Salvatore Ciancio 8 mesi (confernata), Letizia Cinà 5 anni (compagna di Ferrante, aveva avuto 6 anni e 10 mesi), Giampiero D’Astolfi 8 anni e 2 mesi (confermata), Antonino Di Vincenzo 1 anno e 10 mesi (1 anno, 6 mesi e 20 giorni); Giovanni Di Vincenzo 5 anni e 8 mesi (confermata), Francesco Ferrante 1.000 euro di multa (confermata).

Ed ancora: Francesco Pio Ferrante 9 anni (confermata) , Giovanni Ferrante 8 anni e 5 mesi (8 anni, gli è stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione con la giustizia), Michele Ferrante 12 anni (confermato), Gaetano Fontana 19 anni in continuazione con le precedenti condanne, 11 per questo processo (1 anno 6 mesi), Giovanni Fontana 10 anni (1 anno e 8 mesi), Giuseppe Gambino e Nunzio Gambino 6 anni e 8 mesi ciascuno (confermate).

Giovanni Giannusa 1.000 euro di multa (confermata), Salvatore Giglio 8 anni e 2 mesi (confermata), Roberto Giuffrida 6 anni e 8 mesi (confermata), Ivan Gulotta 5 anni (confermata), Roberto Gulotta 10 anni (confermata), Giovanni Mamone 1 anno e 4 mesi (confermata), Domenico Onorato 12 anni (confermato), Santo Pace 12 anni e 2 mesi (12 anni), Domenico Passarello 12 anni (confermato), Michela Radogna 1 anno e 4 mesi (confermata), Liborio Sciacca 12 anni e 2 mesi (12 anni), Gaetano Pilo 10 mesi e 20 giorni (era stato assolto)

Nel processo si sono costituiti parte civile il Comune di Palermo (assistito dall’avvocato Ettore Barcellona), Solidaria (avvocato Maria Luisa Martorana), Fai (avvocato Valerio D’Antoni), associazione Antonino Caponnetto (avvocato Alfredo Galasso) Confcommercio Palermo e Confesercenti (avvocato Fabio Lanfranca), Centro Pio La Torre (avvocato Francesco Cutraro), Sos Impresa (avvocato Fausto Maria Amato) e Sicindustria..

Parte civile si era costituito anche l’imprenditore Massimo Monti, assistito dall’avvocato Rosario Milazzo, che ha denunciato di avere subito un’estensione. A Monti spetta il risarcimento dei danni.

Gli assolti

Questi gli assolti: Lorenzo Badalamenti, Salvatore Badalamenti, Tommaso Bassi, Antonino Bonura, Stefano Calafiore, Filippo Canfarotta, Riccardo Colombo, Giuseppe Corona, Paolo Attilio Remo Cotini, Antonino Di Vincenzo, Danilo D’Ignoti, Francesco Charles Fabio, Fabio Laura , Ignazio Ferrante, Angelo Fontana, Filippo Lo Bianco, Davide Matassa, Gaetano Pensavecchia, Luigi Pensavecchia Raffaele Pensavecchia, Domenico Pitti, Vittorio Pontieri, Rosolino Ruvolo, Daniele Santoianni, Monica Schillaci, Giuseppe Spallina, Pierfulvio Pecoraro.

Gli assolti erano difesi dagli avvocati Tommaso De Lisi, Roberta Minotti, Teresa Todaro, Giovanni La Bua, Antonio Turrisi, Salvatore Ferrante, Domenico La Blasca, Valentina Castellucci, Alessandro Martorana, Salvatore Di Maria, Claudio Giambruno, Angelo Formuso, Luigi Montagliani, Giampiero Biancolella e Marcello Montalbano, Antonio Di Lorenzo, Salvatore Aiello, Gaetano Turrisi, Giuseppe Meli.

Scontro fra cugini

Il processo ha segnato lo scontro, anche verbalmente violento, fra i due imputati che hanno collaborato con la magistratura. Volarono insulti in aula: “Buffone”, “munnizza”, “fognatura”. I pubblici ministeri hanno ritenuto attendibile Ferrante e “scaricato” Fontana soprattutto perché ha negato di avere fatto parte delle recente Cosa Nostra. A Ferrante è stata riconosciuta l’attenuante della collaborazione.


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